La vicenda dei fratelli Scalamandrè, culminata con l’omicidio del padre Pasquale nel loro domicilio genovese il 10 agosto 2020, si chiude con una sentenza d’appello milanese che riduce drasticamente le pene, ponendo l’accento su un quadro di profonda e prolungata violenza psicologica e fisica preesistente, che ha spinto i due figli a compiere un atto estremo. La condanna a dodici anni per Alessio e sei anni e due mesi per Simone, pur mantenendo la gravità del reato, è accompagnata dal riconoscimento dell’attenuante della provocazione per accumulo, un elemento cruciale che ne determina la riduzione.La decisione dei giudici della seconda sezione della Corte d’Assise d’appello non si limita a considerare l’episodio immediatamente precedente al decesso del padre, ma analizza un contesto di tensioni familiari pluriennali, caratterizzate da un crescente clima di intimidazione e soprusi esercitati da Pasquale Scalamandré nei confronti della madre dei ragazzi. Questo scenario, che ha costretto la donna a cercare rifugio in una struttura protetta in Sardegna, costituisce il presupposto fondamentale per comprendere le dinamiche che hanno portato alla tragedia.La ricostruzione del figlio maggiore, Alessio, ritenuta verosimile dai giudici, emerge come elemento chiave nella valutazione della vicenda. Alessio, pur avendo la possibilità di presentare una versione dei fatti più favorevole, ha scelto di descrivere gli eventi con sobrietà, evitando di costruire un racconto autoassolutivo. Questa scelta, unitamente alla sua dichiarazione di non aver mai subito minacce o violenze fisiche dal padre fino a quel giorno, suggerisce un tentativo di lucidità e di responsabilità nell’affrontare la gravità degli accadimenti.L’episodio scatenante, immediatamente antecedente all’omicidio, vide il padre insistere nel voler incontrare Alessio, con l’obiettivo di convincerlo a ritrattare la denuncia per maltrattamenti nei confronti della madre. Il rifiuto del figlio, seguito da un tentativo di costrizione fisica da parte del padre, innescò una colluttazione che sfociò nella tragica conclusione. L’intervento del fratello minore, Simone, durante la colluttazione, contribuì a determinare l’esito fatale.La sentenza, pertanto, non si concentra esclusivamente sull’atto violento in sé, ma indaga le radici profonde di una situazione familiare disfunzionale, dove la figura paterna si è rivelata fonte di sofferenza e paura per i figli. La decisione dei giudici sottolinea come la violenza psicologica e fisica preesistente possa erodere la capacità di sopportazione e spingere a reazioni estreme, al contempo riconoscendo la gravità del gesto compiuto e l’urgenza di una riflessione più ampia sul tema della violenza domestica e sulle sue conseguenze devastanti. La vicenda dei Scalamandrè, in definitiva, si configura come un tragico esempio di come il silenzio e l’impunità possano alimentare un ciclo di violenza con esiti irreparabili.
Scalamandrè, la sentenza riduce le pene: un padre, anni di abusi.
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