L’Assalto alla Serietà: Ricky Gervais e la Difesa del Risate LiberoC’è un’aria di liberazione palpabile, un ritorno alla spontaneità che contrasta con un passato recente, segnato in alcuni contesti – soprattutto oltreoceano – da tentativi di imporre censure sull’umorismo.
Questa narrazione, quasi un racconto di resistenza, fa da sfondo all’esibizione di Ricky Gervais all’Unipol Forum di Milano, un evento che ha visto novemila persone riversarsi in un’atmosfera di risa e provocazione.
L’artista, icona indiscussa dello stand-up comedy e creatore di fenomeni come “The Office”, si conferma un campione di incassi record, capace di infiammare il pubblico con una comicità che, pur restando controversa, si fa veicolo di una profonda riflessione sulla condizione umana.
“Mortality”, lo spettacolo in questione, si presenta non come un’elegia macabra sulla morte, bensì come un’esplorazione audace e disincantata della vita.
Gervais, con la sua consueta abilità di provocazione, scuote il pubblico, costringendolo a confrontarsi con la paura della fine, invitandolo a riscoprire il valore del presente.
“La preoccupazione per la morte ci sottrae la capacità di vivere appieno,” sembra suggerire l’artista, smascherando l’ipocrisia di chi, soffocato da un moralismo esasperato, si dimentica di assaporare le piccole gioie quotidiane.
Il comico inglese, maestro nell’arte del paradosso, non risparmia nessuno, smontando con sarcasmo le convenzioni sociali e i tabù.
La sua comicità, affilata e tagliente, si fa strumento di analisi, svelando le contraddizioni dell’epoca.
Ripercorrendo il filo della sua carriera, Gervais affronta temi complessi con un linguaggio diretto e spesso irriverente.
Dalla riflessione sulla condizione di Stephen Hawking, “una sedia a rotelle parlante”, alle inquietanti feste di Jeffrey Epstein, fino alle potenzialità e i timori legati all’intelligenza artificiale – “se diventa un peso, possiamo sempre staccare la spina” – l’artista non elude alcuna questione.
Il palcoscenico, dominato da due imponenti schermi, amplifica la presenza scenica di Gervais, mentre l’estetica minimalista, con l’uso di immagini di ali nere, evoca un senso di ambiguità e mistero.
Il comico, lontano da atteggiamenti paternalistici o da pose da guru, si presenta come un osservatore arguto, un catalizzatore di risate e di riflessioni.
La sua comicità, più che una semplice forma di intrattenimento, si rivela un’arma di difesa, un antidoto contro la rigidità del pensiero e la censura dell’umorismo.
In un’ora di spettacolo, Gervais spazia tra argomenti disparati, toccando temi universali come la religione, il suicidio assistito, l’invecchiamento e persino l’anatomia, con un’elegia all’ano, organo silenzioso e instancabile.
L’aneddoto sulle autocensure di Jason Momoa ai Golden Globes e il ricordo dei cori dei tifosi dedicati a Elton John prima del suo coming out ufficiale, aggiungono un tocco di leggerezza e di umanità a uno spettacolo che, nel suo complesso, si configura come un inno alla libertà di espressione e alla gioia di vivere, senza paura di scandalizzare o provocare.
Il messaggio finale, semplice e potente, risuona nella mente del pubblico: smettiamo di preoccuparci del domani e impariamo a godere del presente, perché la vita è troppo breve per sprecarla in inutili angosce.