L’eticità nella documentazione fotografica, in particolare quando si tratta di soggetti vulnerabili come i cuccioli, solleva interrogativi complessi che trascendono la semplice valutazione di “inappropriatezza”.
Lontano dalle considerazioni superficiali di una distanza fisica, si apre un ventaglio di implicazioni etiche, psicologiche e sociali che richiedono una riflessione approfondita.
La fotografia di cuccioli, spesso percepita come innocua e persino tenera, può in realtà comportare una compromissione del loro benessere.
Un cucciolo, a differenza di un adulto, non possiede la capacità di comprendere, o di esprimere, il proprio dissenso a essere fotografato.
Questo squilibrio di potere, unito alla sua dipendenza da una figura di riferimento (la madre o il suo tutore), lo rende intrinsecamente vulnerabile allo sfruttamento.
La distanza non è l’unico fattore determinante.
Un fotografo può trovarsi a una distanza considerevole, ma l’uso di zoom, lenti potenti o droni annulla l’illusione di innocuità.
In questi casi, l’animale può sentirsi braccato, spiato, privato della sua tranquillità e, potenzialmente, spaventato.
Lo stress cronico, anche se impercettibile all’osservatore esterno, può avere effetti negativi sulla sua salute fisica e sul suo sviluppo emotivo.
La “documentazione” di cuccioli selvatici o in cattività, in particolare, amplifica queste preoccupazioni.
La ricerca di scatti “unici” può incentivare comportamenti irresponsabili, come l’avvicinarsi a cucciolate nascoste, disturbando l’apprendimento dei giovani animali e mettendo a rischio la loro sopravvivenza.
In ambienti in cattività, come zoo o rifugi, la fotografia eccessiva può contribuire a un senso di oggettivazione e a un’ulteriore perdita di dignità.
L’etica fotografica, in questo contesto, non si limita a rispettare le leggi sulla protezione della fauna selvatica, ma implica una profonda sensibilità verso i bisogni degli animali.
Richiede una valutazione del potenziale impatto delle nostre azioni, un’autocritica costante delle nostre motivazioni e una priorità assoluta al benessere del soggetto fotografato.
Un fotografo responsabile dovrebbe porsi domande cruciali: la mia presenza sta causando stress all’animale? La mia ricerca di uno scatto perfetto sta compromettendo la sua sicurezza o il suo sviluppo? Sto contribuendo a un’immagine distorta della natura, in cui gli animali sono ridotti a oggetti di spettacolo?La fotografia può essere un potente strumento di sensibilizzazione e di promozione della conservazione.
Ma la sua efficacia dipende dalla nostra capacità di esercitarla con rispetto, responsabilità e una profonda consapevolezza delle implicazioni etiche che essa comporta.
Lontano da una semplice questione di distanza fisica, si tratta di un impegno morale verso il benessere di chi non ha voce.