La vicenda dei due giovani fidanzati, Luca Orioli e Marirosa Andreotta, la cui tragica scoperta a Policoro il 23 marzo 1988 ha segnato profondamente la comunità materana, torna a riemergere con forza, sollecitata da una nuova, incalzante richiesta di avocazione alla Procura Generale di Potenza.
La madre di Luca, Olimpia Fuina Orioli, anima dell’instancabile ricerca della verità, attraverso il suo legale, l’avvocato Antonio Fiumefreddo, del foro di Catania, ha riproposto l’istanza, nel tentativo di scardinare un muro di silenzi e omissioni che per oltre tre decenni ha offuscato le dinamiche di quella notte fatidica.
La richiesta di avocazione non si configura come una mera contestazione procedurale, ma come un atto di profonda giustizia, volto a sanare le ferite ancora aperte e a garantire una piena e imparziale ricostruzione dei fatti.
L’avvocato Fiumefreddo denuncia un quadro allarmante, caratterizzato da perizie manipolate, testimonianze ignorate, intercettazioni non analizzate e incongruenze investigative sistematicamente eluse, che hanno condotto a una conclusione affrettata e contestabile: quella di un duplice suicidio o, al limite, di un tragico incidente.
Una tesi che, a detta dei legali, si scontra con evidenze concrete e con l’intuito di chi ha a cuore la verità.
L’istanza di avocazione si fonda su una serie di elementi che, a detta dei richiedenti, sono stati deliberatamente trascurati o valutati in modo superficiale.
Si richiede, con forza, l’acquisizione e l’analisi dei tabulati telefonici relativi ai giorni immediatamente successivi alla morte, un atto cruciale per ricostruire i contatti e le movenze dei soggetti coinvolti.
Si sollecita inoltre l’audizione di ventotto testimoni individuati come potenzialmente in grado di fornire elementi significativi per la ricostruzione della dinamica dei fatti.
Di particolare importanza è la richiesta di una riesumazione dei corpi con l’impiego delle più avanzate tecnologie medico-legali, quali le scansioni tomografiche (body scan), al fine di ottenere informazioni più precise sulle cause e i tempi dei decessi, andando oltre le limitazioni delle perizie condotte all’epoca.
Parimenti, si chiede una perizia comparativa dei corredi fotografici originali, con l’obiettivo di verificare la presenza di eventuali manomissioni o alterazioni della scena del crimine.
La vicenda si complica ulteriormente con il riferimento all’inchiesta sul falso in perizia “Valecce”, un caso che sembra intrecciarsi con la morte dei due giovani e che, nonostante le segnalazioni, è stato archiviato per decorrenza dei termini, lasciando nell’ombra possibili responsabilità e collegamenti.
Olimpia Fuina Orioli, con profonda amarezza e determinazione, esprime il suo dolore per la persistente mancanza di trasparenza e per l’ostinazione con cui le istituzioni sembrano voler celare la verità.
“Non possiamo permettere che l’oblio diventi l’ultima parola su questa tragedia,” dichiara la madre, invocando un intervento dello Stato, affinché non rimanga complice di un silenzio che macchia la giustizia.
La Procura Generale di Potenza si trova ora di fronte a una scelta delicata e cruciale.
Dovrà valutare attentamente le gravi lacune evidenziate nell’operato della Procura distrettuale di Matera, che ha ripetutamente respinto le richieste istruttorie, nonostante le evidenze scientifiche di morte violenta già accertate nella perizia Umani Ronchi e in altre successive valutazioni.
La decisione assunta dalla Procura Generale non sarà solo una questione di procedura, ma un atto di responsabilità nei confronti della giustizia e della memoria dei due giovani scomparsi, un gesto di speranza per le loro famiglie e per l’intera comunità.
La ricerca della verità, a distanza di decenni, rimane un imperativo morale e un diritto inalienabile.