martedì 5 Agosto 2025
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Violenza a Bologna: il sistema penitenziario sull’orlo del collasso.

Un episodio di violenza inaudita ha scosso la Casa Circondariale di Bologna, la Dozza, proiettando nuovamente al centro del dibattito pubblico le criticità strutturali che affliggono il sistema penitenziario italiano.

La dinamica, descritta dai segretari regionali del Sappe, Francesco Campobasso e Francesco Borrelli, ha visto un detenuto straniero protagonista di un’esplosione di aggressività che ha coinvolto il personale di Polizia Penitenziaria e altri reclusi, culminando in un episodio di ferimento particolarmente grave.

La vicenda non si è limitata a una semplice rissa: si è trattato di un’eruzione di rabbia che ha manifestato, in forma violenta, le frustrazioni e le tensioni accumulate all’interno di un ambiente già fragile e compromesso.

La devastazione materiale – un tavolo distrutto, uno sgabello fracassato, una cella ridotta in uno stato di completo disordine – è solo la superficie di un problema più profondo.
Questi danni fisici sono il riflesso di un disagio psichico e sociale che permea il contesto carcerario, un disagio che difficilmente può essere affrontato con misure repressive immediate.
L’aggressione al personale di Polizia Penitenziaria, definita dai sindacalisti un affronto alla Nazione, solleva interrogativi cruciali sulla sicurezza all’interno degli istituti penali e sulla tutela dei diritti fondamentali di chi vi opera.

Il contesto della detenzione, originariamente concepito come luogo di riabilitazione e reinserimento sociale, si trasforma spesso in un focolaio di conflitti, alimentato da condizioni di sovraffollamento, scarsità di risorse e dalla complessità dei profili criminali che vi confluiscono.

L’intervento di Nicola d’Amore, agente di Polizia Penitenziaria e esponente della Fns-Cisl, ha ampliato ulteriormente il quadro, sottolineando la gravità della ferita inferta al detenuto con uno “stiletto potenzialmente letale”.

La sua testimonianza, carica di amarezza, descrive un turno di lavoro “massacrante” e denuncia l’abbandono cronico in cui versa il sistema penitenziario.

Il sovraffollamento, denunciato come “fuori controllo”, agisce da moltiplicatore di tensioni, erodendo la sicurezza e compromettendo la possibilità di un percorso di risocializzazione efficace.

Il quadro che emerge è quello di un sistema penitenziario sull’orlo del collasso, incapace di garantire né legalità né umanità.
Non si tratta di una mera questione di ordine pubblico, ma di una profonda crisi etica e sociale che richiede un ripensamento radicale delle politiche carcerarie.
Come sottolinea d’Amore, non servono slogan, ma soluzioni concrete e strutturali, un investimento reale in risorse umane e in programmi di intervento mirati.

È necessario un approccio multidisciplinare che coinvolga psicologi, educatori, assistenti sociali e operatori sanitari, al fine di affrontare le cause profonde del disagio e promuovere una cultura del rispetto e della responsabilità.
Solo così si potrà trasformare la Casa Circondariale da luogo di esclusione a strumento di inclusione e di speranza.

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