L’eco del rimpianto risuona nelle trascrizioni, nei messaggi incrociati, un’ammissione a freddo che, con la lucidità del tempo, fa emergere il peso di scelte compiute.
Nel corso della sua deposizione preliminare al Giudice per le Indagini Preliminari Mattia Fiorentini, l’ex assessore Giancarlo Tancredi, attualmente in custodia cautelare insieme a Giuseppe Marinoni e ad altri coinvolti nell’inchiesta urbanistica, ha espresso un’autocritica che illumina le dinamiche opache che si celavano dietro accordi apparentemente innocui.
Il punto focale del suo pentimento riguarda la disponibilità, espressa in passato, a comunicare direttamente con Giuseppe Marinoni, allora presidente della Commissione paesaggio, in merito a specifiche proposte relative alla localizzazione di nodi e accessi della metropolitana.
Una comunicazione, a quanto pare, che bypassava i canali istituzionali previsti e che, con l’avere del senno di poi, Tancredi riconosce aver potuto generare una situazione di potenziale conflitto di interessi.
L’ammissione non si ferma al mero riconoscimento di una possibile imprudenza.
Tancredi, riflettendo sulle proprie azioni, ha espresso la consapevolezza che l’intermediazione di Marinoni, il cosiddetto “snodo Marinoni”, avesse potuto costituire fonte di “imbarazzo”, una sorta di zona grigia dove la trasparenza e l’imparzialità venivano messe a repentaglio.
Questa confessione, apparentemente semplice, apre un varco complesso nel racconto dell’indagine.
Essa suggerisce non solo una possibile collusione tra funzionari pubblici e figure influenti, ma anche una profonda riflessione sulla natura del “interesse pubblico”.
Tancredi, nel suo tentativo di giustificare le proprie azioni, sostiene di aver agito in nome di quest’ultimo, ma la sua stessa ammissione rivela una frattura tra l’ideale di un servizio disinteressato e la realtà di un sistema permeato da dinamiche di potere e favoritismi.
La vicenda del “snodo Marinoni” si configura, dunque, come un microcosmo di un problema più ampio, un indicatore di possibili derive all’interno dell’amministrazione comunale.
La disponibilità a eludere le procedure standard, l’importanza attribuita a relazioni personali, la ricerca di una via “scorciatoia” per ottenere risultati – tutto ciò solleva interrogativi cruciali sulla governance della città e sulla necessità di rafforzare i meccanismi di controllo e trasparenza.
La testimonianza di Tancredi, per quanto tardiva, offre un tassello importante per ricostruire la mappa di un sistema complesso, in cui l’apparente ricerca del bene comune si è potuta contaminare con logiche distorte e potenzialmente illegali.