Un mare di rosso pulsante inondava Piazza Grande, il cuore pulsante del Locarno Film Festival.
Non era un’inondazione di luci, ma un’ondata silenziosa, composta da centinaia di piccoli cartelli, ognuno un frammento di dolore, un lembo di garza che velava una macchia cremisi – simbolo tangibile del sangue versato a Gaza.
Un grido muto, un appello disperato: “Stop al genocidio”.
L’azione, preparata e coordinata da un gruppo di attivisti locali, si è manifestata prima della proiezione de “Il compleanno” di Miguel Ángel Jiménez, un evento che vedeva la presenza del regista stesso e di attori di rilievo come Willem Dafoe ed Emma Suárez.
Lungi dall’essere un’interruzione, la protesta si è inserita nel tessuto vibrante del festival, assumendo un significato profondo e inaspettato.
Un minuto di silenzio, un’eternità di riflessione, avvolse la piazza.
Le luci delle proiezioni si attenuarono, amplificando la carica emotiva del momento.
Il pubblico, composto da cinefili provenienti da ogni angolo del mondo, si è fermato, unito in un gesto di solidarietà verso le vittime della violenza.
Un’umanità ferita, interrotta dalla brutalità di un conflitto che sembra inestinguibile.
Il direttore artistico del festival, Giona A.
Nazzaro, con parole semplici e sincere, ha riconosciuto il significato dell’azione: “Siamo con voi, grazie.
” La risposta è stata immediata, un’onda di applausi che si è propagata nella piazza, un riconoscimento condiviso di un’angoscia globale.
L’atto di protesta trascende la semplice manifestazione; rappresenta un’esigenza di coscienza, un monito alla comunità cinematografica e, per estensione, al mondo intero.
Il Locarno Film Festival, luogo di incontro tra culture e di narrazione di storie, si fa portavoce di un grido di pace, un invito a non restare indifferenti di fronte alla sofferenza umana.
L’eco di quel silenzio, interrotto solo dall’applauso, risuona come un impegno, un’impronta indelebile sulla storia del festival e nella memoria di chi vi ha partecipato, un invito a riflettere sul ruolo dell’arte e della cultura come strumenti di denuncia e di cambiamento sociale.
L’immagine di Piazza Grande, trasformata in un palcoscenico di dolore e di speranza, resterà impressa, simbolo di una sensibilità artistica che non può – e non vuole – ignorare le ferite del mondo.