La devastante alluvione che nel settembre 2024 ha flagellato il Ravennate, con particolare impatto su Traversara e Faenza, non può essere considerata un evento del tutto inatteso, ma piuttosto il risultato di una complessa interazione tra fattori naturali e lacune nella gestione del rischio idrogeologico.
Le indagini preliminari, avviate dalla Procura di Ravenna a seguito di una consulenza tecnica d’ufficio, delineano un quadro che mette in discussione le stime dei tempi di ritorno delle piene del Lamone, il fiume che ha subito le esondazioni più drammatiche.
Le valutazioni precedenti, che avevano suggerito intervalli di ricorrenza di fenomeni di tale entità compresi tra i 200 e i 30 anni, si sono rivelate sottostimate, sollevando interrogativi cruciali sulle metodologie applicate e sulla loro adeguatezza nel contesto del cambiamento climatico e dell’aumento della frequenza degli eventi estremi.
Questa discrepanza evidenzia una potenziale mancanza di allarme precoce e di adeguate misure preventive a protezione delle comunità esposte.
Il fascicolo d’indagine, aperto contro ignoti per disastro colposo, riprende un percorso già avviato a seguito delle precedenti alluvioni, quella del maggio 2023 e le successive, che hanno profondamente segnato il territorio ravennate.
Il comitato “Noi ci siamo”, tramite il proprio legale, ha partecipato ad un incontro in Procura, dove sono state discusse le prime conclusioni della perizia tecnica.
L’inchiesta si focalizza sull’analisi delle responsabilità legate alla pianificazione del territorio, alla manutenzione delle infrastrutture idrauliche e alla gestione dell’emergenza.
Si prendono in esame aspetti cruciali come la capacità di contenimento del bacino del Lamone, l’efficacia dei sistemi di allerta e l’adeguatezza delle misure di protezione delle aree vulnerabili.
L’alluvione del 2024, come le precedenti, ha messo in luce una vulnerabilità strutturale del territorio, accentuata dall’urbanizzazione selvaggia, dalla cementificazione dei corsi d’acqua e dalla progressiva perdita di capacità di assorbimento del suolo.
La complessità del problema richiede un approccio multidisciplinare che coinvolga esperti di idrologia, geologia, urbanistica e gestione del rischio, al fine di elaborare strategie di prevenzione e mitigazione efficaci e durature.
L’analisi del caso ravennate si configura, inoltre, come un campanello d’allarme per altre aree del Paese esposte a rischi idrogeologici simili, richiedendo una revisione generale delle politiche di gestione del territorio e di adattamento ai cambiamenti climatici.