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Gioia Mia: Infanzia, Tempo Sospeso e Riscoperta Siciliana

Il peso del tempo sospeso: ‘Gioia mia’ e la riscoperta dell’infanzia perduta”Gioia mia”, l’opera prima di Margherita Spampinato, non è un semplice racconto di formazione, ma un’immersione delicata e profonda nell’animo fragile e resiliente dell’infanzia, un viaggio che si rivela specchio di esperienze personali e riflessioni universali.

Presentato in concorso al Festival di Locarno nella sezione Cineasti del Presente, il film si configura come un’ode alla lentezza, alla spiritualità e alla capacità di ascoltare le voci silenziose che risuonano nell’aria immobile del tempo sospeso.
La narrazione si concentra su Nico (Marco Fiore), un bambino catapultato in un’estate inaspettata nella Sicilia della prozia Gela (Aurora Quattrocchi), in seguito a un cambiamento nella sua routine familiare.

La convivenza, inizialmente tesa e conflittuale, si rivela un terreno fertile per l’esplorazione di due mondi apparentemente inconciliabili: la razionalità pragmatica di una donna moderna e la saggezza ancestrale di una figura materna alternativa.
Spampinato, autrice, regista e montatrice, attinge a un’esperienza autobiografica per tessere una trama intessuta di magia, memoria e dolore.
La figura di Gela, un nome evocativo e quasi dimenticato, incarna un archetipo di cura e protezione, una guida spirituale che aiuta il protagonista a navigare le acque insidiose dell’adolescenza e a confrontarsi con i traumi del passato.

La regista afferma che il film è un omaggio a figure femminili esemplari, zie che le hanno insegnato valori e tradizioni, offrendo un rifugio sicuro in un ambiente familiare apparentemente razionale e distante dalle radici culturali.
L’attrice Aurora Quattrocchi, scelta e voluta dalla regista, interpreta con maestria un personaggio complesso e sfaccettato, una donna che, pur distante nel carattere, si rivela custode di un’umanità profonda.
La regista sottolinea come la sfida di interpretare un ruolo così diverso dalla propria personalità abbia permesso all’attrice di esprimere al meglio la sua versatilità.
Il punto di vista privilegiato è quello del bambino Nico, che permette allo spettatore di rivivere la meraviglia e la fragilità dell’infanzia, di riscoprire la capacità di immaginare, di credere nelle storie e di trovare conforto nelle piccole cose.

La regista, madre e osservatrice attenta dei bambini, ha coinvolto i suoi figli e i loro amici nel processo creativo, attingendo alla loro spontaneità e alla loro apertura mentale.

“Gioia mia” non è solo un racconto di formazione, ma anche un’occasione per riflettere sulla fluidità dell’identità e sulla libertà di essere se stessi.

La regista esprime ammirazione per la generazione dei bambini di oggi, per la loro capacità di accettare la diversità e di abbattere le barriere del pregiudizio.

Le influenze artistiche che hanno ispirato la regista sono molteplici.
Ha studiato a fondo la scrittura cinematografica e ha attinto a decenni di esperienza maturata come segretaria di edizione, assorbendo lezioni da maestri del cinema.

Un episodio significativo, raccontato dalla regista, rivela l’importanza di sperimentare e di osare, anche attraverso la ripetizione di una scena senza dialoghi, per cogliere la sua essenza più profonda.

La regista esprime il desiderio di poter rifare alcune scene con gli attori, a conclusione delle riprese, quando la loro comprensione della storia è completa, per catturare la sua autenticità e la sua ricchezza emotiva.

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