Il 78° Festival di Locarno si è concluso celebrando la cinematografia italiana con un ricco assortimento di riconoscimenti che testimoniano la vivacità e la diversità della produzione nazionale.
L’eco più rilevante è legato a “Gioia mia”, l’opera prima di Margherita Spampinato, che si è aggiudicata il prestigioso Premio della Giuria del Concorso Cineasti del Presente.
Questo traguardo non solo consacra il film come un’opera di notevole valore artistico, ma garantisce anche una significativa visibilità grazie a una campagna promozionale del valore di 25.000 franchi svizzeri, destinata ai canali Cinè+ al momento della distribuzione nelle sale cinematografiche francesi.
Un impulso cruciale per la diffusione del film e per la sua ricezione critica.
Accanto a questo successo, Aurora Quattrocchi, figura chiave nel cast di “Gioia mia”, ha meritamente ricevuto il Pardo d’Oro per la migliore interpretazione, un riconoscimento che sottolinea la forza e la profondità del suo contributo all’opera.
Il talento georgiano Levàn Gelbakhiani, protagonista di “Don’t let the sun”, una coproduzione italo-svizzera realizzata principalmente a Milano, ha anch’esso ricevuto un importante Pardo, segnando l’attenzione del festival verso le voci emergenti e le collaborazioni transnazionali.
Le sorelle Valentina e Nicole Bertani, con il loro film “Le bambine” – inserito nel Concorso internazionale – hanno ricevuto una menzione speciale della Giuria dei giovani, un premio che valorizza la freschezza e l’originalità delle opere che dialogano con il pubblico più giovane.
Questo riconoscimento sottolinea la capacità del cinema italiano di creare ponti intergenerazionali e di stimolare nuove prospettive.
Particolarmente significativo è il Marco Zucchi Award, un premio di 2.000 franchi svizzeri che premia il documentario più innovativo dal punto di vista estetico e formale.
L’edizione di quest’anno è andata a “Nella colonia penale,” un progetto collettivo firmato da Gaetano Crivaro, Silvia Perra, Ferruccio Goia e Alberto Diana.
Il documentario offre uno sguardo impietoso e allo stesso tempo umanizzante sulle ultime colonie penali d’Europa, situate in Sardegna, dove i detenuti, attraverso il lavoro manuale – coltivazione della terra, cura degli animali, manutenzione della struttura – trovano una forma di redenzione e di connessione con la realtà.
L’opera si distingue per la sua capacità di sovvertire le convenzioni del genere documentaristico, presentando una riflessione complessa sul sistema penale, sulla riabilitazione e sul ruolo della comunità.
L’assegnazione di questo premio evidenzia l’attenzione del festival verso opere che sperimentano nuove forme espressive e che affrontano tematiche sociali di grande rilevanza.