Il traghetto Las Palmas ha solcato le acque del Mediterraneo, un corteo funebre silenzioso, per quasi nove ore, da Lampedusa a Porto Empedocle.
A bordo, ventitrè bare, il bianco candido delle urne in contrasto con l’oscurità profonda del dolore che le accompagnava.
Il viaggio, un’odissea inversa, ha lasciato un’impronta indelebile in chi ha dovuto farne parte, operatori marittimi e volontari impegnati in un compito che attanaglia l’anima.
Lo sbarco a Porto Empedocle si è consumato tra la commozione più profonda, il silenzio rotto solo dai singhiozzi soffocati e la consapevolezza amara di una tragedia che si ripresenta, implacabile, al confine tra l’Africa e l’Europa.
Queste bare non contengono semplici corpi, ma frammenti di storie interrotte, sogni spezzati, famiglie decimate.
Naufragi che si sono verificati al largo della Libia, in un mare che troppo spesso si rivela un cimitero galleggiante.
La ferocia del destino ha colpito duramente, strappando alla vita uomini, donne e bambini, lasciando dietro di sé un vuoto incolmabile per chi li ha persi.
I sessanta sopravvissuti, testimoni diretti di questa immane perdita, sono ora assistiti nell’hotspot delle Pelagie.
Oltre all’assistenza medica, fondamentale, necessitano di un supporto psicologico intensivo.
La loro esperienza, impressa a fuoco nella memoria, li ha segnati profondamente.
I segni non sono solo fisici, ma soprattutto emotivi e psicologici.
Traumi che richiederanno tempo, cura e dedizione per essere elaborati.
L’accaduto solleva interrogativi urgenti sulla gestione dei flussi migratori, sulle rotte pericolose che le persone disperate sono costrette a intraprendere e sulla responsabilità collettiva di fronte a una crisi umanitaria di tale portata.
Non si tratta solo di salvare vite in mare, ma di agire sulle cause profonde che spingono le persone ad affrontare un viaggio così rischioso.
È necessario promuovere politiche di sviluppo sostenibile nei paesi di origine, offrire opportunità di lavoro e istruzione e garantire canali di migrazione sicuri e regolari.
La tragedia di Ferragosto, come tante altre prima di essa, è un monito severo.
Un grido di dolore che risuona attraverso il Mediterraneo, esigendo una risposta concreta e duratura, non solo di assistenza immediata, ma soprattutto di impegno politico e sociale per costruire un futuro più giusto e umano per tutti.
La memoria di queste vittime non deve svanire, ma deve ispirare un’azione responsabile e compassionevole, affinché simili tragedie non si ripetano più.