Rupert Everett, un’icona dell’attore inglese, nutre un legame profondo e variegato con l’Italia, una relazione tessuta di ammirazione culturale, opportunità professionali e una riconoscenza reciproca che si estende per decenni.
Il suo percorso artistico, segnato da collaborazioni memorabili con registi del calibro di Francesco Rosi e Giuliano Montaldo, ha contribuito a consolidare la sua figura di interprete versatile e carismatico nel panorama cinematografico italiano.
L’esperienza recente nella serie “Emily in Paris”, conclusasi bruscamente, ha lasciato in Everett un senso di amarezza, come testimonia la sua confessione: “Sono stato estromesso senza una spiegazione chiara”.
Un evento che, pur doloroso, si inserisce in un contesto più ampio di dinamiche spesso opache e imprevedibili nel mondo dello spettacolo.
L’attore riflette sulla fragilità della carriera artistica, un percorso costellato di alti e bassi, sottolineando l’importanza per i giovani attori di una dedizione costante e di una continua ricerca di opportunità.
Il coraggio di Everett, con il suo coming out nei primi anni ’90, ha segnato un momento cruciale, rompendo schemi e affrontando pregiudizi in un’epoca in cui l’apertura e l’accettazione erano ancora lontane.
La sua scelta di vivere apertamente la propria identità, documentata nel romanzo “Hello, Darling, Are You Working?”, testimonia un desiderio di autenticità e di rifiuto della maschera.
La sua passione per il lavoro si manifesta in una produzione eclettica che spazia dal teatro al cinema, dalla televisione alla scrittura.
Everett si definisce un “bulimico di lavoro”, un instancabile ricercatore di nuove sfide artistiche, animato da un’irresistibile attrazione per le ambientazioni storiche.
La sua interpretazione di Sherlock Holmes e l’esperienza come ispirazione per il personaggio di Dylan Dog, grazie all’estro di Tiziano Sclavi, attestano la sua influenza culturale che si estende anche al mondo del fumetto.
Al di là del successo professionale, l’ammirazione più profonda di Everett è riservata a Oscar Wilde, figura emblematica di un’epoca travagliata e vittima dell’intolleranza.
La sua devozione a Wilde si concretizza in un progetto ambizioso come “The Happy Prince”, dove l’attore ha assunto il ruolo di sceneggiatore, regista e interprete, e nutre il sogno di un nuovo film che ne racconti gli ultimi anni di vita.
Wilde rappresenta per Everett un modello intellettuale e morale, una figura quasi christologica che incarna la lotta per la verità e l’affermazione dell’identità individuale.
È un’eredità che l’attore porta avanti con passione, consapevole del peso storico e dell’importanza culturale di questo grande scrittore.