Drenchia, un puntino incastonato nel tessuto montuoso del Friuli Venezia Giulia, a ridosso del confine sloveno, incarna in maniera drammatica le sfide demografiche che affliggono l’intera regione e, più ampiamente, il Paese.
Sebbene nota per essere il comune meno popoloso d’Italia, la sua condizione va ben oltre la mera dimensione fisica: Drenchia è un laboratorio a cielo aperto dove si manifestano con acuta evidenza i sintomi di un profondo inverno demografico.
L’ultima iscrizione di nascita risalente al 2015 è un campanello d’allarme che risuona amplificato dalla contrazione inarrestabile della popolazione, passata da un picco di 1128 unità negli anni ’80 a un misero 89 di abitanti attuali.
Il quadro è reso ancora più inquietante dalla mobilità interna: il bambino nato dieci anni fa non risiede più nel comune, un ulteriore segno di spopolamento che priva Drenchia di ogni potenziale di rinnovamento generazionale.
La struttura per età della popolazione è decisamente squilibrata: i residenti più giovani ammontano a soli 14, gli under 40 sono una manciata, otto in totale, mentre la maggioranza, più del 50%, si colloca nella fascia degli over 65.
Questa “piramide demografica” rovesciata prefigura un futuro di crescente difficoltà nel garantire servizi essenziali e nel sostenere l’economia locale.
La situazione di Drenchia, pur estrema, non è un caso isolato.
Nel 2024, nove comuni friulani hanno registrato zero nascite, alcuni di questi per anni.
Altri centri, a testimonianza di un fenomeno diffuso, hanno subito perdite di popolazione superiori al 10%.
La spopolamento non è una questione di singole comunità, ma un problema regionale che si radica in dinamiche più ampie.
I dati Istat relativi ai primi cinque mesi del 2024 rivelano un quadro allarmante a livello regionale: 2.563 nascite, un crollo di 300 rispetto all’anno precedente, contro 6.239 decessi.
Si prospetta quindi il diciottesimo anno consecutivo di declino demografico.
La tendenza, sebbene parzialmente arginata dall’apporto di nuovi residenti (con un saldo positivo di quasi 3.300 persone tra arrivi e partenze), lascia presagire un calo complessivo della popolazione di 424 unità.
Questo flusso migratorio, sebbene positivo nel breve termine, non può compensare la drammatica perdita di natalità e solleva interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine di questa tendenza.
L’immigrazione, pur contribuendo a mitigare il declino, non può sostituire la necessità di politiche nataliste efficaci e di misure a sostegno della famiglia e della genitorialità, al fine di invertire questa spirale di spopolamento che minaccia il futuro del Friuli Venezia Giulia e dell’Italia intera.
La sfida non è solo demografica, ma anche sociale, economica e culturale, e richiede un approccio integrato e lungimirante.