martedì 19 Agosto 2025
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Milano, Corvetto: omicidio e solitudine, una donna in carcere

Nel cuore di Milano, il distretto Corvetto è stato teatro di un drammatico evento che ha scosso la comunità e sollevato interrogativi complessi sulla cura, la solitudine e i limiti della resilienza umana.

Nunzia Antonia Mancini, sessantaquattro anni, si trova ora detenuta in carcere, in seguito alla convalida dell’arresto disposta dal giudice per le indagini preliminari (GIP) Cristian Mariani.
L’arresto è avvenuto nella notte tra il 14 e il 15 agosto, in seguito a una chiamata al 112 che ha rivelato la terribile verità: Mancini confessava di essere responsabile della morte del suo compagno, Vincenzo Ferrigno, settantatré anni.

La vicenda si colloca in un contesto di profonda vulnerabilità.
Ferrigno, afflitto da una pregressa storia di ictus, dipendeva completamente da Mancini per la cura quotidiana.
Questa condizione di totale dipendenza, se da un lato testimoniava un legame affettivo, dall’altro generava un carico emotivo e fisico non indifferente per la donna.

L’abitazione in via Pomposa, luogo di questa tragedia, era diventata così il fulcro di una relazione segnata dalla cura, ma anche dalla potenziale frustrazione e dal progressivo deterioramento psicologico di Mancini.

La confessione rilasciata alla centrale operativa del 112 – “Non ce la facevo più a prendermi cura di lui” – offre una chiave di lettura preliminare, pur non esaustiva, del gesto estremo.

Le parole, apparentemente semplici, celano un carico di stress, esaurimento e forse anche un senso di isolamento che hanno portato Mancini a compiere un atto così violento.
La dinamica si è consumata con l’aggressione, inizialmente inferta con un’arma da taglio, seguita da un soffocamento con un cuscino, un metodo che sottolinea la premeditazione e la volontà di porre fine alla situazione in maniera definitiva.

L’episodio solleva una riflessione più ampia sulla crescente problematica della cura non retribuita, spesso assunta da familiari e amici, e sui rischi di burnout che ne derivano.
La società contemporanea, spesso idealizzata nella sua capacità di supporto, fatica a fornire un adeguato sostegno a chi si trova ad affrontare il peso della cura a lungo termine, soprattutto quando questa si prolunga per anni e coinvolge persone con gravi disabilità.
L’evento evidenzia inoltre l’importanza di servizi di supporto psicologico e sociale per coloro che si prendono cura di persone fragili, non solo per prevenire situazioni estreme come quella verificatasi, ma anche per preservare la dignità e il benessere di chi si sacrifica quotidianamente per gli altri.

L’indagine, ora in corso, dovrà fare luce sulle motivazioni più profonde alla base del gesto, analizzando il contesto relazionale e le condizioni psicologiche di Mancini, per comprendere appieno la tragica concatenazione di eventi che ha portato a questa perdita irreparabile.

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