Il 31 luglio, un messaggio carico di angoscia si propagò rapidamente attraverso i social media, scaturito dall’appello disperato di Alessandro Aru.
Figlio di Valeria Sollai, una donna che serviva con onore nel corpo dei Carabinieri in Campania, Aru si trovava a fronteggiare una situazione che lo aveva profondamente scosso: il ricovero urgente della madre al Policlinico di Monserrato.
Ma il suo allarme non riguardava solamente la salute della genitrice.
L’evento che aveva innescato l’appello era collegato alla tradizionale Fiesta Latina, una celebrazione popolare che avrebbe dovuto portare allegria e divertimento.
Tuttavia, un’ombra di sospetto si era addensata: gli stand gastronomici, elemento centrale della festa, avevano improvvisamente cambiato location, spostandosi in Ogliastra.
Il messaggio di Aru, semplice ma diretto, conteneva un monito severo: l’astensione assoluta dal consumo di qualsiasi alimento offerto dalle bancarelle della Fiesta Latina, per un periodo imprecisato.
L’urgenza della raccomandazione era palpabile, alimentata da un timore sottinteso che si estendeva al di là del semplice ricovero materno.
L’allarme, veicolato attraverso il canale Facebook, delineava una serie di sintomi potenzialmente allarmanti, a cui prestare particolare attenzione.
Non si trattava di un generico malessere, bensì di una costellazione di segni che indicavano una possibile compromissione neurologica e fisiologica: visione offuscata, alterazioni cognitive che offuscano la lucidità, difficoltà di coordinazione motoria, cefalee intense e invalidanti, problemi nella deglutizione e nella capacità di articolare il linguaggio.
La gravità della situazione richiedeva un intervento immediato: qualora uno di questi sintomi si manifestasse, l’invito era quello di rivolgersi immediatamente al pronto soccorso, senza esitazione.
L’appello di Alessandro Aru trascendeva una semplice richiesta di informazione.
Era un grido di allarme, un tentativo disperato di proteggere una comunità intera, alimentato dalla preoccupazione per la madre e, implicitamente, da una consapevolezza di una potenziale minaccia invisibile, celata dietro la festosa facciata di una tradizione popolare.
La sua richiesta finale, “Spargete la voce,” era un imperativo, un atto di responsabilità civile volto a prevenire ulteriori danni e a sollecitare una verifica urgente delle condizioni di sicurezza degli alimenti destinati al consumo pubblico.
Un monito che sollevava interrogativi inquietanti sulla salute pubblica e sulla necessità di vigilanza costante.