Un episodio di grave violenza ha scosso il carcere di Alba (Cuneo), evidenziando una crisi sistemica che affligge l’intero sistema penitenziario del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta.
Un detenuto, in seguito a un rifiuto medico relativo all’uso di un ausilio per la deambulazione, ha reagito con un’esplosione di aggressività, danneggiando la struttura con calci a una cancellata e colpendo due agenti di polizia penitenziaria con un arnese improvvisato.
Le lesioni riportate dagli agenti, sebbene giudicate guaribili in breve tempo, costituiscono un ulteriore tassello in una spirale di inefficienze e carenze di personale che sta mettendo a dura prova la sicurezza degli operatori e la tenuta dell’istituto.
Parallelamente all’aggressione, un altro detenuto ha provocato ingenti danni all’impianto di illuminazione, già provato da precedenti atti vandalici, mentre il sistema di videosorveglianza, elemento cruciale per il controllo e la sicurezza, è risultato inoperante, verosimilmente a seguito di azioni dolose messe in atto dalla popolazione detenuta.
La situazione, resa drammatica dalla cronica mancanza di risorse, è stata denunciata dal segretario generale del sindacato Osapp, Leo Beneduci, che descrive il carcere di Alba come un “colabrodo”, simbolo di un sistema penitenziario al collasso.
Beneduci critica aspramente l’autoreferenzialità del sistema, dove promozioni di carriera vengono attribuite per meri formalismi, mentre il personale operativo è lasciato fronteggiare emergenze in condizioni di estrema vulnerabilità.
Le richieste del sindacato Osapp si concentrano su interventi immediati e concreti: il ripristino immediato delle telecamere di sorveglianza, l’implementazione di un presidio sanitario adeguato e l’incremento del personale, affiancati da un cambio di paradigma che abbandoni la retorica a favore di azioni effettive.
La solidarietà a favore degli agenti aggrediti è stata espressa anche da Azione, che attraverso i suoi rappresentanti provinciali e cittadini, Giacomo Prandi e Massimo Giachino, pone l’attenzione su una problematica più ampia e strutturale: l’incompatibilità tra le attuali strutture carcerarie – ereditate dal Codice Rocco del 1930, un’epoca storica e politica profondamente diversa dalla realtà contemporanea – e i principi fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana.
La permanenza in carcere di individui affetti da patologie psichiatriche o tossicodipendenze, al di là della conclusione della pena stabilita dalla legge, costituisce una grave anomalia che richiede soluzioni alternative, basate su percorsi di cura e reinserimento sociale, in strutture dedicate e specializzate, piuttosto che perpetuare un circolo vizioso di marginalizzazione e devianza.
La questione sollevata non è meramente un problema di sicurezza, ma un imperativo etico e un dovere verso la riabilitazione e il reinserimento di individui che, pur avendo commesso errori, meritano una seconda opportunità per ricostruire la propria vita e contribuire positivamente alla società.