Il 24 agosto si erge come una cicatrice indelebile nel tessuto sociale di Arquata del Tronto e dei suoi borghi, un anniversario intriso di dolore, memoria e, al contempo, di una pressante urgenza.
Nove anni a distanza dal terremoto che, nel 2016, ha lacerato il cuore dell’Appennino marchigiano, il sindaco Michele Franchi ha ripercorso la tragica cronologia degli eventi, focalizzando l’attenzione non solo sulla commemorazione delle 52 vite spezzate ad Arquata, 48 delle quali a Pescara del Tronto, ma anche sulla complessa e tormentata realtà della ricostruzione.
La dichiarazione del sindaco non è un mero atto formale, ma un grido che emerge dalla frustrazione e dalla responsabilità di chi guida una comunità ancora fragile.
L’accelerazione promessa dai commissari, pur apprezzabile, non ha cancellato la visione di una Pescara del Tronto ferita, immobile in un limbo di promesse non mantenute.
L’assenza di cantieri attivi, la lentezza burocratica, la complessità delle procedure, si manifestano con l’amara consapevolezza che il tempo, per chi ha perso tutto, scorre inesorabile.
Il terremoto non ha solo distrutto edifici, ma ha frantumato un legame ancestrale con il territorio, un’identità radicata in secoli di storia e tradizioni.
Le vittime non erano semplici residenti, ma custodi di un patrimonio immateriale, persone che, pur abitando altrove, conservavano un profondo senso di appartenenza.
Le loro case erano il fulcro di un sistema di affetti, un rifugio sicuro dove ritrovare le radici, i ricordi d’infanzia, la connessione con le generazioni passate.
La loro presenza, nonostante il dolore e l’esilio forzato, testimonia la resilienza di una comunità che rifiuta di arrendersi alla disperazione.
Il pensiero del sindaco si rivolge con particolare commozione agli anziani, figure emblematiche di una saggezza antica e di una profonda connessione con il territorio, molti dei quali, come l’ex sindaco Aleandro Petrucci, sono stati strappati dalla vita senza poter vedere rifiorire le loro case.
La loro assenza pesa come un macigno sulla coscienza di chi ha la responsabilità di onorare la loro memoria con azioni concrete.
La ricostruzione, lungi dall’essere una semplice questione edilizia, si configura come un atto di giustizia, un imperativo morale che impone di restituire dignità e speranza a una comunità devastata.
Il sindaco, con sguardo rivolto al futuro, esprime l’auspicio che questo anniversario segni una svolta, un punto di non ritorno verso un impegno rinnovato e una velocità operativa che non lascino spazio a ulteriori rinvii.
La sfida è ardua, ma la forza della memoria e la determinazione di una comunità ferita, ma non sconfitta, rappresentano la bussola per guidare un percorso di rinascita.
Il dovere è quello di trasformare il dolore in opportunità, la perdita in speranza, la cicatrice in simbolo di una resilienza capace di rigenerare il territorio e rafforzare il legame tra le generazioni.