La vicenda di Alessia Pifferi e la tragica morte della figlia Diana rappresenta una profonda ferita nel tessuto sociale italiano e solleva interrogativi complessi riguardanti la responsabilità genitoriale, i disturbi mentali e il sistema di supporto alle famiglie in difficoltà.
La sentenza di secondo grado a Milano, supportata da una perizia psichiatrica dettagliata, ha ribadito la piena capacità di intendere e volere di Alessia Pifferi al momento dei fatti che hanno portato alla morte della piccola Diana, meno di due anni.
La condanna all’ergastolo, confermata in appello dopo la pena di primo grado, pone l’accento sulla gravità delle azioni compiute.
Il gesto di abbandonare Diana, una bambina di soli diciotto mesi, da sola in casa per sei giorni, privandola delle cure, dell’alimentazione e dell’affetto necessari per la sua sopravvivenza, configura un atto di estrema gravità che ha determinato la sua morte per deperimento.
Tuttavia, l’intera vicenda trascende la mera dimensione del singolo atto criminale.
Essa si innesta in un contesto più ampio di difficoltà socio-economiche, disagio psicologico e, potenzialmente, di lacune nel sistema di assistenza sociale.
Alessia Pifferi, come emerge dalle indagini e dalla perizia psichiatrica, presentava evidenti segni di sofferenza interiore, sebbene fosse ritenuta capace di intendere e volere.
La perizia, pur escludendo la totale incapacità di intendere e volere, ha delineato un quadro di profonda vulnerabilità psicologica, che ha contribuito, pur non giustificandolo, al tragico evento.
La vicenda solleva dunque interrogativi cruciali.
Quanto è efficace il sistema di supporto alle famiglie in difficoltà? Come si può individuare precocemente il disagio psicologico genitoriale e offrire un aiuto tempestivo? Quali misure preventive si possono adottare per evitare che situazioni simili si ripetano? È imperativo, a fronte di questa tragedia, non limitarsi alla condanna penale, ma riflettere profondamente sulle cause che hanno portato a questo dramma.
È necessario un approccio multidisciplinare che coinvolga servizi sociali, psicologi, pediatri e, soprattutto, una maggiore attenzione alle famiglie vulnerabili, con interventi mirati e personalizzati.
L’obiettivo non è solo quello di prevenire nuovi casi di abbandono e maltrattamento, ma anche di promuovere una genitorialità responsabile e consapevole, in grado di garantire ai bambini un ambiente sicuro, affettuoso e stimolante per il loro sviluppo.
La morte di Diana non può essere dimenticata, ma deve rappresentare un monito e un punto di partenza per un cambiamento profondo nel modo in cui la società accoglie e sostiene le famiglie in difficoltà.