L’indagine sulla tragica scomparsa di Giovanni Marchionni, il giovane ventunenne originario di Bacoli deceduto l’8 agosto a Portisco, in Costa Smeralda, assume contorni sempre più precisi.
Una perizia tecnica, disposta dalla Procura di Tempio Pausania, ha rilevato la presenza di concentrazioni anomale di monossido di carbonio (CO) originate da una delle batterie di alimentazione a bordo dell’imbarcazione.
La scoperta, effettuata durante un sopralluogo condotto ieri sera, coinvolgeva un team di esperti nominati sia dalla Procura che dalla famiglia Marchionni e dalla proprietaria del natante, un’imbarcazione di 17 metri.
L’attenzione dei periti si è focalizzata sulle batterie situate nella zona di prua, in prossimità della cabina dove è stato rinvenuto il corpo di Marchionni.
L’analisi, eseguita con i motori in funzione e l’impianto di condizionamento attivo – condizioni che simulano lo scenario del decesso – ha evidenziato che una batteria specifica, deputata all’alimentazione di un’elica di prua, emetteva CO in quantità superiori ai limiti di sicurezza, sia nel vano tecnico che all’interno della stessa cabina.
Questo dato assume un’importanza cruciale, rafforzando l’ipotesi di una morte per intossicazione da CO, una causa che, se confermata dagli esami tossicologici dell’autopsia, permetterebbe di classificare l’evento come un “incidente sul lavoro”, come sostenuto dall’avvocato Maurizio Capozzo, legale della famiglia Marchionni.
La natura di incidente sul lavoro solleva interrogativi sul regime contrattuale del giovane, con gli inquirenti napoletani, delegati dalla Procura sarda, che hanno ascoltato numerosi testimoni per accertare se Marchionni operasse in nero per l’armatrice di Bacoli.
Questa ipotesi, avvalorata dai familiari del giovane, è ora oggetto di approfondita verifica anche da parte dell’INAIL, che ha inviato un ispettore sia a Bacoli che in Sardegna per effettuare tutti gli accertamenti necessari.
Il pool di esperti – composto dall’ingegnere Giuseppe Salvatore Mangano per la Procura, dagli ingegneri Antonio e Filippo Scamardella e Sebastiano Ackermann per la famiglia della vittima, e dall’ingegnere Massimo Simeone per la proprietaria – proseguirà le indagini con ulteriori verifiche, focalizzandosi sulla datazione e le modalità di installazione delle batterie.
Si intende chiarire se l’installazione fosse opera del cantiere navale originale o se siano state apportate in un momento successivo, valutando l’eventuale responsabilità di modifiche o manutenzioni improprie.
La complessità della vicenda richiede un’analisi meticolosa e multidisciplinare, che tenga conto non solo degli aspetti tecnici, ma anche delle implicazioni legali e contrattuali.
I risultati della perizia tecnica e dell’autopsia saranno depositati entro 90 giorni e costituiranno la base per ulteriori sviluppi nel procedimento, attualmente iscritto a carico di ignoti.
La vicenda solleva interrogativi fondamentali sulla sicurezza sul lavoro in contesti marittimi e sull’importanza di protocolli di manutenzione rigorosi per prevenire il rischio di intossicazione da CO, un pericolo spesso sottovalutato ma potenzialmente letale.