martedì 2 Settembre 2025
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Piano Riviera per Gaza: un’incongruenza etica e architettonica.

Il “Piano Riviera” per Gaza, come descritto dalle prime indiscrezioni, si configura come una visione di futuro profondamente problematica, una sorta di “macabra proiezione” che evoca un destino di deportazione e dispersione per intere comunità già gravate da un’esasperante precarietà e dalla costante minaccia di violenza.
L’intervento di Stefano Boeri, architetto di fama internazionale, ha sollevato un’onda di preoccupazione, sottolineando una dissonanza stridente tra l’intento dichiarato e le implicazioni concrete del progetto.
La contraddizione è palpabile: l’utilizzo di un’immagine del Bosco Verticale di Milano come fonte d’ispirazione appare, a detta di Boeri, un paradosso di proporzioni allarmanti.
Il Bosco Verticale, infatti, incarna un approccio all’architettura improntato all’integrazione armoniosa con l’ambiente circostante, alla valorizzazione del patrimonio storico e culturale, e alla promozione di un’edilizia inclusiva, capace di offrire soluzioni abitative diversificate – non solo per fasce di popolazione agiate, ma anche per l’edilizia sociale, spazi pubblici e servizi essenziali come l’assistenza sanitaria.
L’opera di Boeri, a livello globale, testimonia un impegno costante verso questi principi.
Dagli spazi pubblici innovativi realizzati a Utrecht agli edifici residenziali di Eindhoven, fino alle strutture sanitarie progettate in Cina, come il Rehabilitation Center di Shenzhen, il suo lavoro ha sempre perseguito l’obiettivo di creare ambienti che favoriscano il benessere collettivo e la coesione sociale.

L’associazione del Bosco Verticale, simbolo di questa filosofia, con un piano che sembra prefigurare un esodo forzato e una frammentazione delle comunità, genera un’incongruenza inaccettabile.

Il “Piano Riviera”, così come emerge, rischia di tradire i valori fondamentali dell’architettura responsabile, quella che non si limita a costruire muri e rifugi, ma che aspira a creare ponti, a promuovere la resilienza e a garantire un futuro dignitoso per tutti.
La sua genesi e le sue reali implicazioni meritano un’attenta revisione e un dibattito pubblico approfondito, per evitare che una visione fallace diventi la base di un progetto destinato a perpetuare sofferenza e disuguaglianze.
L’architettura, in questo contesto, non può essere un mero strumento di ingegneria, ma deve incarnare un impegno etico e sociale, volto a preservare la dignità umana e a costruire un futuro di pace e prosperità condivisa.

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