La difesa dei presunti responsabili dello stupro di gruppo a Porto Cervo ha tentato una strategia di discredito, interrogando la credibilità della giovane donna italo-norvegese, vittima di un evento traumatico che ha scosso l’opinione pubblica.
La replica dell’avvocata Giulia Bongiorno, in rappresentanza della parte civile, ha demolito questa linea difensiva, svelando le dinamiche psicologiche profonde che spesso intrappolano le vittime di violenza sessuale e mettendo in discussione la solidità delle testimonianze a carico.
L’argomentazione difensiva si è concentrata sull’analisi “radiografica”, come l’ha definita Bongiorno, della vita della giovane donna, evidenziando un presunto “eccesso” di fotografie pubblicate sui social media, con l’intento di insinuare un comportamento incongruo rispetto al trauma subito.
L’avvocata ha risposto con fermezza, sottolineando che la passione per la fotografia e l’attività professionale della sua assistita non sono in contraddizione con l’esperienza di una violenza.
“Una foto in topless è incompatibile con un trauma?”, ha provocato retoricamente, per poi aggiungere una riflessione cruciale: “Quando c’è una violenza sessuale, una parte di te muore.
E la reazione istintiva è quella di voler nascondere ciò che è accaduto, di voler ricominciare a vivere, anche se a pezzi.
“Bongiorno ha poi affrontato il delicato tema dell’autocolpevolizzazione, un meccanismo psicologico comune nelle vittime di abusi.
“È la prima reazione di una donna dopo una violenza,” ha spiegato.
“La mia assistita si sente responsabile, pensa di meritarsi l’accaduto perché si rimprovera di aver bevuto troppo, di essere andata a casa di Ciro Grillo.
” Questa convinzione, secondo l’avvocata, emerge chiaramente da una registrazione vocale, in cui la giovane donna esprime un senso di colpa e di responsabilità nei confronti di ciò che le è accaduto.
Queste parole, lungi dal confutare la denuncia, rappresentano, al contrario, una dolorosa conferma della profonda ferita psicologica inferta dalla violenza subita.
Un altro punto cruciale sollevato dalla difesa è stato quello relativo al consumo di alcol.
L’avvocata ha ribadito che la presunta vittima, a causa del suo stato di alterazione, non era in grado di fornire una testimonianza pienamente lucida e consapevole.
Ha inoltre contestato un episodio specifico, quello relativo alla presunta visita in un tabaccaio il 17 luglio, giorno successivo alle violenze.
L’alibi fornito dai presunti aggressori è stato messo in discussione dalla mancanza di riscontri nei dati dei dispositivi mobili, sia della giovane donna che dei ragazzi, che negano una sua presenza sul luogo.
“Lei non ha lasciato la villetta per poi farvi ritorno accompagnata da loro”, ha affermato con decisione Bongiorno, evidenziando una discordanza tra le dichiarazioni e le prove oggettive.
La ricostruzione presentata dall’avvocata Bongiorno non si limita a difendere l’onorabilità della sua assistita, ma mira a svelare le complesse dinamiche psicologiche che caratterizzano l’esperienza delle vittime di violenza sessuale, smontando una strategia difensiva che cerca di spostare la responsabilità sulla presunta vittima, piuttosto che affrontare la gravità delle accuse.