L’analisi del modello urbanistico milanese, ridurlo a una mera rete di collusione, rappresenta una semplificazione eccessiva, altrettanto fallace quanto negare l’esistenza di problematiche strutturali intrinseche, come l’aggravarsi delle disuguaglianze socio-spaziali.
Stefano Boeri, figura di spicco nel panorama architettonico contemporaneo, offre una prospettiva complessa, contestando sia le narrazioni superficiali che le generalizzazioni semplicistiche.
La sua opera, testimoniata da progetti iconici come il Bosco Verticale, il Bosco Navigli e interventi di edilizia popolare, si pone al di là di un ruolo di mero esecutore.
Boeri sottolinea di non aver mai ricoperto incarichi politici diretti, lasciando la giunta Pisapia proprio a seguito di divergenze concettuali relative alla pianificazione dell’Expo.
Un elemento cruciale è la sua visione dei grattacieli e delle torri, considerate non come elementi intrinsecamente negativi, bensì come espressione di una necessità di ricostruzione e di ripresa economica, storicamente collegati anche all’edilizia sociale, e precedentemente incentivati dalla giunta Albertini.
Tuttavia, le intercettazioni trapelate suggeriscono un’interpretazione più problematica, evidenziando una potenziale concezione possessiva dell’urbanistica da parte di alcuni attori chiave.
Boeri, pur riconoscendo un rapporto di stima e collaborazione con il sindaco Sala, mette in luce la necessità di un dialogo continuo, anche attraverso “warning” riguardanti l’operato della commissione Paesaggio, che a suo avviso, talvolta si discosta dal suo ruolo istituzionale.
Un campanello d’allarme che, secondo Boeri, è fondamentale per garantire una governance urbana efficace.
Il suo contributo si estende ad una riflessione più ampia sulla trasformazione demografica di Milano.
La città ha visto un significativo ricambio generazionale, con una perdita di residenti consolidati e un afflusso di nuovi abitanti.
Questo processo, inevitabile in una realtà dinamica, ha però generato conseguenze sociali delicate, come l’espulsione di famiglie a basso reddito e la gentrificazione di quartieri un tempo popolari.
Boeri, con sguardo critico, si interroga su scelte urbanistiche passate, come la riqualificazione del Leoncavallo, ricordando come luoghi simbolo della cultura e dell’innovazione sociale, come il Piccolo Teatro, siano nati da occupazioni spontanee poi regolarizzate.
La sua conclusione è un invito a non dimenticare la complessità di Milano, città in continua evoluzione, dove la memoria delle trasformazioni passate deve guidare le scelte future, garantendo un equilibrio tra sviluppo economico, innovazione e inclusione sociale, per evitare che la città diventi un rifugio esclusivo per una ristretta élite.