La tragica scomparsa di Arcangelo Correra, 18enne, ha squarciato il tessuto sociale di Napoli, rivelando un quadro inquietante di spavalderia giovanile e pericolose manipolazioni dell’ambiente armato.
La notte del 9 novembre, un colpo di pistola ha posto fine alla sua vita, per mano del suo amico più stretto, Renato Benedetto Caiafa, 20enne, ora accusato di omicidio volontario aggravato dal dolo eventuale.
L’ordinanza di arresto, emessa dal giudice per le indagini preliminari Maria Gabriella Iagulli, dipinge un ritratto complesso, ben oltre una mera fatalità.
L’elemento chiave dell’inchiesta risiede non solo nel gesto efferato, ma nella pregressa familiarità di Caiafa con le armi.
Il gip nega qualsiasi possibilità di interpretare l’accaduto come frutto di inesperienza o ignoranza.
Non si tratta di un giovane inesperto, ma di un individuo già inserito, seppur a livello adolescenziale, in dinamiche che ruotano attorno all’uso di armi da fuoco.
La pistola, dotata di un caricatore potenziato e con munizioni complete, non era una scoperta improvvisa; Caiafa la possedeva da giorni, consapevole del suo stato di carica, elemento che esclude qualsiasi possibilità di incauto maneggio.
La ricostruzione degli eventi rivela una dinamica inquietante: Caiafa, con l’arma in suo possesso, aveva precedentemente esibito la pistola di fronte ai suoi coetanei, in un gesto di presunta bravata e ricerca di approvazione sociale.
Questa dimostrazione di “forza” non era un atto isolato, ma parte di un tentativo di affermazione all’interno del suo gruppo di pari, e, secondo gli inquirenti, forse anche con l’intento di attirare l’attenzione di figure di più alto profilo nel sottobosco criminale locale.
La procura, supportata dalle indagini della Squadra Mobile, ha ricostruito come Caiafa abbia portato l’arma quella sera con l’obiettivo di “impressionare” i presenti.
La forza necessaria per innescare il meccanismo di sparo, pari a circa 3 chilogrammi, esclude qualsiasi possibilità di un innesco accidentale; richiede un’azione volontaria e consapevole.
Questo, unitamente alla direzione dell’arma puntata contro Arcangelo, configura inequivocabilmente l’intenzione, seppur non direttamente omicida, di assumersi il rischio che il gesto potesse causare la morte.
Il caso Correra non è solo una tragedia personale, ma un campanello d’allarme che sottolinea la pervasività della cultura delle armi tra i giovani e la necessità di interventi mirati per contrastare la glorificazione della violenza e la facilità di accesso ad armi illegali, spesso considerate strumenti di status e di protezione sociale distorta, piuttosto che una minaccia alla sicurezza collettiva.
L’indagine mira ora a fare luce sulle origini di tale disponibilità e sulle possibili connessioni con ambienti criminali che potrebbero aver fornito a Caiafa l’arma e, in qualche modo, incoraggiato il suo comportamento rischioso.