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Riforma Magistrati: Separazione Carriere, un Rischio per l’Indipendenza?

L’attuale dibattito sulla separazione delle carriere magistrali, spesso presentato come panacea per i mali del sistema giudiziario, merita un’analisi critica più profonda, che vada oltre le superficiali promesse di miglioramento della qualità della giustizia.

Come evidenziato dal procuratore generale Sergio Sottani, l’intervento si pone come un tentativo indiretto di riforma, ma i rischi connessi, e i potenziali effetti negativi, sono di portata significativa.

La separazione, in sé, comporta un onere economico considerevole, ma la questione principale risiede nelle implicazioni per l’autonomia e la responsabilità dei magistrati.
La riforma rischia di erodere la possibilità per i giudici di eleggere i propri rappresentanti, un elemento cruciale per il mantenimento dell’indipendenza del potere giudiziario.
Privare i magistrati di questo diritto significa depauperare il loro ruolo di garanti dell’imparzialità, esposti a un senso di alienazione e ad una perdita di controllo sui propri organi di rappresentanza.

L’impatto sulla responsabilità politica è altrettanto preoccupante.
Come si può chiedere conto a un rappresentante sorteggiato per le sue azioni all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura? La mancanza di un reale legame con il corpo dei magistrati e la conseguente assenza di accountability minano la legittimità del sistema stesso.

La speranza che la separazione delle carriere possa placare le polemiche che spesso infiammano il dibattito pubblico sulla magistratura appare, pertanto, infondata.

Al contrario, la creazione di un corpo autonomo di pubblici ministeri, con un proprio CSM e una conseguente autonomia decisionale, rischia di acentuare un fenomeno di autoreferenzialità, concentrando un potere significativo nelle mani di un organo non soggetto a un adeguato controllo esterno.
La tendenza all’auto-giustificazione, per definizione, non favorisce la trasparenza né l’accettazione da parte della società.

Le soluzioni proposte per mitigare questi rischi, come la sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo o la riduzione del ruolo del PM a un semplice ausiliario delle forze di polizia, rappresentano un compromesso inaccettabile, poiché andrebbero a erodere le fondamentali garanzie costituzionali che salvaguardano l’indipendenza della magistratura.

Un’altra opzione, l’introduzione di una discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, sebbene potenzialmente più flessibile, solleva interrogativi sulla sua applicazione imparziale, specialmente se affidata unicamente al potere giudiziario.
La complessità della decisione, e i potenziali conflitti di interesse, impongono un coinvolgimento di altre istituzioni, garantendo un equilibrio di poteri.

In definitiva, la riforma della separazione delle carriere, così come concepita, rischia di compromettere l’equilibrio delicato dei poteri che fonda lo Stato di diritto, spingendo verso una riduzione delle garanzie giurisdizionali e verso un potenziale aumento del rischio di derive autoritarie.
Un’analisi più approfondita e una riflessione condivisa sono necessarie per individuare soluzioni che rafforzino l’efficienza del sistema giudiziario senza sacrificare i principi fondamentali di indipendenza, imparzialità e accountability.

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