venerdì 12 Settembre 2025
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Trieste

Pescheria chiude: implosione della convivenza civile in Piazza Garibaldi

Il cartello, esposto con impudenza e rassegnazione, recitava: “Chiuso per l’implosione della convivenza civile”.
Un’affermazione audace, quasi una provocazione, ma che celava una realtà amara per il titolare della pescheria, un’attività storica radicata nel tessuto sociale di Piazza Garibaldi.

L’episodio non era isolato, ma l’ultimo tassello di una spirale di violenza e degrado che stava soffocando il commercio locale.

Da marzo, la pescheria aveva interrotto la sua operatività per diverse giornate, un gesto disperato per attirare l’attenzione su una situazione insostenibile.
Non si trattava di semplici risse o tafferugli, ma di manifestazioni di una crisi più profonda, un deterioramento dei valori e un crollo della sicurezza che rendevano pericoloso per i commercianti e scoraggiavano i clienti.

Quaranta giornate lavorative perse dall’inizio dell’anno rappresentavano una ferita finanziaria e un segno tangibile del disagio che attanagliava la comunità.

Il silenzio forzato della saracinesca non era una scelta indolore, ma una conseguenza diretta della spirale di violenza che si perpetrava nelle immediate vicinanze.
Ogni chiusura era collegata a un evento specifico: aggressioni a passanti, episodi di vandalismo, saccheggi improvvisati, e persino fenomeni di estorsione che spaventavano i commercianti e rendevano impossibile la normale prosecuzione dell’attività.

Il 9 settembre e il 3 settembre erano solo due esempi recenti di un problema cronico.

I cartelli, cambiati di volta in volta, non erano un semplice strumento di comunicazione, ma un vero e proprio atto d’accusa.

“Chiuso per barbarie”, “Chiuso per saccheggio”, “Chiuso per coprifuoco”, “Chiuso per rappresaglia” – parole dure, incisive, scelte per esprimere la frustrazione e la rabbia di chi si sentiva impotente di fronte a un degrado inarrestabile.

Dietro l’ironia apparente si celava una profonda tristezza e la paura di un futuro incerto per la propria attività e per l’intera zona.

Il titolare della pescheria, con la sua iniziativa, non voleva solo denunciare la precarietà della sicurezza pubblica, ma anche sollevare una riflessione più ampia sulla necessità di ripristinare un senso di responsabilità e di rispetto all’interno della comunità.

La sua era una richiesta disperata: non solo di pattuglie più frequenti e di controlli più severi, ma soprattutto di un cambiamento culturale che permettesse di restituire a Piazza Garibaldi la sua serenità e la sua vitalità, affinché la saracinesca potesse rimanere alzata, accogliendo clienti e profumi di mare ogni giorno.

Era una battaglia per la dignità del lavoro, per il diritto di vivere in sicurezza e per la sopravvivenza di un’attività che rappresentava un punto di riferimento per l’intera comunità.

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