La vicenda di Fabrizio, un settantenne ligure afflitto da una progressiva e debilitante patologia neurodegenerativa, solleva interrogativi profondi e urgenti sul diritto all’autodeterminazione e sulla compassione nel contesto della cura e del fine vita.
La sua richiesta di accesso al suicidio assistito, presentata all’ASL, è stata respinta, un atto che lo spinge a considerare un viaggio in Svizzera, nazione in cui tale pratica è legale.
La situazione di Fabrizio è particolarmente complessa: la perdita progressiva delle capacità comunicative, ridotte a gesti e all’ausilio di un tablet, unita a gravi difficoltà motorie, lo rendono completamente dipendente dall’assistenza costante della sua famiglia.
Questa dipendenza, paradossalmente, si configura come elemento chiave della controversia.
L’associazione Luca Coscioni contesta la decisione della sanità ligure, sostenendo che Fabrizio non necessiti di un “trattamento di sostegno vitale” ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale.
Questa sentenza, infatti, ha aperto una breccia nel quadro legislativo italiano, riconoscendo la possibilità di ricorrere alla morte assistita in casi specifici, ma lasciando spazio a interpretazioni divergenti su cosa costituisca un “trattamento di sostegno vitale”.
La lettura restrittiva della ASL, che sembra escludere l’assistenza familiare e i caregiver come forme di supporto essenziali, è il fulcro della disputa legale.
L’assessore regionale alla sanità, Massimo Nicolò, ha espresso vicinanza alla famiglia, sottolineando l’assenza di una cornice normativa nazionale chiara e uniforme, auspicando una legislazione che affronti con precisione tali delicate istanze.
La mancanza di una legge organica crea un limbo interpretativo che lascia i pazienti in balia di decisioni arbitrarie e contribuisce a una frammentazione dell’assistenza.
L’avvocata Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione Luca Coscioni e coordinatrice del team legale di Fabrizio, denuncia l’illegittimità del diniego opposto dalla ASL, evidenziando come l’interpretazione restrittiva della Corte Costituzionale, che include l’assistenza quotidiana dei familiari e dei caregiver, venga deliberatamente ignorata.
La negazione di tale riconoscimento, secondo l’avvocata, costituisce una violazione dei diritti fondamentali, privando Fabrizio della possibilità di esercitare la propria autonomia decisionale in un momento in cui è ancora in grado di farlo.
La vicenda di Fabrizio non è un caso isolato, ma il sintomo di un problema più ampio: la carenza di un dibattito pubblico maturo e informato sul fine vita.
L’esigenza di tutelare la dignità umana, il diritto all’autodeterminazione e la compassione nei confronti di chi soffre richiede un intervento legislativo tempestivo, che superi le interpretazioni restrittive e garantisca il rispetto della volontà del paziente, anche quando questa implica la scelta di un percorso di morte assistita.
La necessità di evitare un “turismo della morte”, costringendo i pazienti a cercare assistenza all’estero, è un ulteriore campanello d’allarme che sollecita una risposta concreta da parte del legislatore.
La sofferenza prolungata e ingiusta di Fabrizio e della sua famiglia, e la necessità di evitare ulteriori rinvii, impongono un cambio di passo urgente e responsabile.