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Capperi di Pantelleria: un’eccellenza a rischio per la mancanza di manodopera.

L’inimitabile cappero di Pantelleria, fiore all’occhiello dell’agricoltura isolana e custode di un’identità culturale millenaria, si trova ad affrontare una sfida esistenziale: la crescente difficoltà nel reperire manodopera per la raccolta dei suoi preziosi boccioli.

La certificazione IGP, garanzia di qualità e legame con il territorio, non basta a proteggere una tradizione che rischia l’obsolescenza, minacciata da dinamiche socio-economiche complesse e da una progressiva desertificazione giovanile.
Il problema, come ogni anno, si è manifestato con urgenza durante la finestra cruciale tra giugno e agosto, periodo in cui la raccolta manuale è imperativa per garantire la maturazione ottimale del prodotto.
La fatica intrinseca al lavoro, unita alla mancanza di attrattiva per le nuove generazioni, sta progressivamente erodendo la base di lavoratori disponibili, mettendo a serio rischio la capacità delle aziende agricole di portare a termine il ciclo produttivo.
Il compenso offerto, seppur incrementato per incentivare la raccolta (attualmente attestato a 13,50 euro al chilogrammo), non si rivela sufficiente a compensare la durezza del lavoro e la sua stagionalità.
Emanuela Bonomo, presidente della Cooperativa Capperi di Pantelleria, lancia un allarme urgente: la sopravvivenza di un’eccellenza agroalimentare italiana è appesa a un filo.

I dati confermano la gravità della situazione: un calo vertiginoso della produzione conferita alla cooperativa, che nel 2022 aveva registrato 61,73 tonnellate di prodotto IGP, è precipitato a 40,812 tonnellate nel 2023, per poi mostrare un timido recupero lo scorso anno con 47,550 tonnellate.
Questa contrazione non è meramente numerica; rappresenta la perdita progressiva di un patrimonio culturale e di un modello economico legato all’isola.
La storia della raccolta dei capperi di Pantelleria è strettamente intrecciata con le migrazioni interne e internazionali.

In passato, l’apporto fondamentale di lavoratori romeni, giunti sull’isola per imparare l’arte della costruzione dei muretti a secco, si è rivelato salvifico per la raccolta, garantendo la continuità della produzione.

Tuttavia, anche questa fonte di manodopera si è progressivamente esaurita, accentuando il problema attuale.
La situazione attuale impone una riflessione profonda e l’adozione di soluzioni innovative e sostenibili.
Oltre all’incremento dei compensi, è necessario investire in formazione e sensibilizzazione, incentivando i giovani a riscoprire il valore del lavoro agricolo e promuovendo modelli di imprenditorialità giovanile nel settore.
Allo stesso tempo, è fondamentale esplorare nuove forme di collaborazione e di accesso alla manodopera, magari attraverso accordi con scuole agricole o programmi di inserimento lavorativo.
La sopravvivenza del cappero di Pantelleria non è solo una questione economica, ma un imperativo culturale e identitario per l’intera comunità isolana.

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