L’inchiesta sulla mobilitazione “Pro Palestina” a Torino, culminata in 18 richieste di misure cautelari – tra obblighi di firma e divieti di dimora – apre un dibattito complesso sulla libertà di espressione, l’esercizio del dissenso e i confini della legalità in un contesto politico polarizzato.
Le indagini, ora al vaglio del Giudice per le Indagini Preliminari, riguardano quattro specifiche manifestazioni avvenute tra novembre e dicembre 2024, con un’attenzione particolare all’occupazione del 13 novembre presso la sede Leonardo Spa, un evento che ha catalizzato l’attenzione delle autorità.
I destinatari delle richieste di misure cautelari, per la maggior parte giovani e giovanissimi, descritti come esponenti di comitati studenteschi o figure autonome, risultano incensurati, sollevando interrogativi sull’opportunità di applicare misure così restrittive a soggetti privi di precedenti penali.
Le contestazioni spaziano dalla violenza privata, in riferimento agli eventi legati alla Leonardo e alla Mole Antonelliana, a episodi di resistenza a pubblico ufficiale e, in un caso specifico, oltraggio agli agenti di polizia.
La mobilitazione “Pro Palestina”, più che una semplice protesta, si è configurata come una piattaforma di solidarietà verso la popolazione palestinese, intrecciando questo impegno con una critica approfondita delle politiche governative, percepite come responsabili di un contesto internazionale problematico.
Il corteo del 29 novembre, con la sua progressione dalla prefettura alla stazione Porta Nuova, e l’azione del 13 dicembre, hanno contribuito a definire un quadro di crescente tensione tra manifestanti e forze dell’ordine, con episodi di tafferugli che hanno innescato l’indagine.
Le difese degli indagati, fin da subito, hanno contestato la ricostruzione dei fatti presentata dalla Digos e dalla Procura, sottolineando la mancanza di elementi che giustifichino l’applicazione di misure cautelari.
L’incensuratezza degli indagati è stata avanzata come argomento a favore della loro libertà, unitamente alla considerazione che i divieti di dimora imposti, in molti casi, colpirebbero persone stabilmente residenti a Torino per motivi di studio o lavoro, rendendo la misura sproporzionata e di fatto limitativa della loro capacità di proseguire le attività quotidiane.
L’inchiesta si inserisce in un contesto più ampio di indagini su altre manifestazioni antagoniste, con ulteriori sette richieste di misure cautelari già formulate nel luglio precedente, relative a eventi verificatisi nel corso del 2023 e 2024.
L’udienza di interrogatorio, recentemente conclusa, ha visto il Giudice per le Indagini Preliminari riservarsi la decisione, lasciando in sospeso il destino di questi giovani attivisti e sollevando interrogativi fondamentali sul delicato equilibrio tra il diritto di manifestare e i limiti imposti dalla legge.
Il caso, di fatto, si configura come un termometro delle tensioni sociali e politiche che attraversano la città di Torino, ponendo al centro un confronto cruciale tra libertà di espressione, sicurezza pubblica e il ruolo delle istituzioni nel garantire il rispetto dei diritti fondamentali.