Un’inquietante ondata di risentimento permea il tessuto sociale contemporaneo, manifestandosi in un clima di profonda diffidenza e ostilità che si traduce, in forme sempre più allarmanti, in atti di violenza estrema, fino alla tragica irruzione della morte.
Questo fenomeno, amplificato e distorto dalle piattaforme digitali, non si limita a un fenomeno virtuale, ma si radica e si propaga nella realtà, contaminando le relazioni interpersonali e compromettendo la convivenza civile.
Il linguaggio dell’odio, alimentato da narrative polarizzanti e manipolatorie, erode la fiducia reciproca, innescando cicli di conflitto e divisione.
Si assiste a una progressiva svalutazione del confronto dialettico e del rispetto per le opinioni altrui, che vengono percepiti non come stimoli per una crescita intellettuale, ma come minacce da neutralizzare.
La diversità, che dovrebbe rappresentare una risorsa e un’opportunità di arricchimento, viene patologicamente interpretata come un’aggressività da contrastare con la sopraffazione.
Questa degenerazione del dibattito pubblico non è un evento isolato, ma il sintomo di una crisi più profonda, che investe i valori fondanti della nostra democrazia.
La banalizzazione della violenza, il suo progressivo assuefazione, rappresenta una sfida inedita per la società, che rischia di normalizzare comportamenti inaccettabili e di anestetizzare le coscienze.
L’emersione di una cultura che celebra l’aggressività e che la utilizza come strumento di affermazione personale è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare.
Le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, pronunciate in occasione del commemorazione di Willy Monteiro Duarte, riassumono un dramma che ci riguarda tutti.
La sua denuncia è un invito urgente a recuperare i valori della tolleranza, dell’empatia e del rispetto per l’altro, a ricostruire ponti di dialogo e a promuovere una cultura della non-violenza, per contrastare l’oscurantismo e per difendere la dignità umana.
È necessario un impegno collettivo, che coinvolga istituzioni, scuole, famiglie e singoli cittadini, per arginare questo fenomeno e per costruire un futuro più giusto e pacifico.
La memoria di Willy, come quella di tante altre vittime dell’odio e della violenza, deve essere il motore di questa trasformazione.