L’accesso dei media ai processi, in particolare quelli di rilevanza pubblica come il caso ‘Echidna’, solleva questioni cruciali di equilibrio tra diritto all’informazione, garanzia del contraddittorio e tutela della presunzione di innocenza.
Un’istanza presentata dalle difese nel processo in corso a Ivrea, riguardante la presunta infiltrazione della ‘ndrangheta nel Nord-Ovest, ha segnalato una potenziale violazione di questo delicato equilibrio da parte dei servizi giornalistici della Rai.
Il fulcro della contestazione riguarda la divulgazione, tramite servizi televisivi, di una questione di competenza territoriale avanzata dalla difesa.
L’istanza sottolinea come tali servizi abbiano privilegiato esclusivamente le argomentazioni della pubblica accusa e della parte civile, omettendo completamente le motivazioni che avevano sostenuto la proposta difensiva, poi respinta dal tribunale.
Questa selezione unilaterale delle informazioni, a detta delle difese, compromette la completezza e l’imparzialità del quadro informativo offerto al pubblico.
Il ragionamento alla base dell’istanza si fonda sull’interpretazione del concetto di “interesse sociale particolarmente rilevante” per la conoscenza del dibattimento.
Non si tratta semplicemente di fornire notizie, ma di farlo in un modo che permetta ai cittadini di comprendere appieno le dinamiche processuali, le argomentazioni contrastanti e le implicazioni giuridiche.
Un’informazione frammentaria e parziale, come quella contestata, frusta tale obiettivo e rischia di distorcere la percezione pubblica del processo stesso.
L’autorizzazione alle riprese televisive, concessa dal tribunale, apre un varco a potenziali problematiche di portata significativa.
La riproduzione audiovisiva di un dibattimento non è un atto neutro; essa implica una rappresentazione che, inevitabilmente, è filtrata attraverso la lente dei media e può influenzare l’opinione pubblica.
In questo contesto, la necessità di garantire una rappresentazione equilibrata e completa diventa ancora più impellente.
Il diritto alla conoscenza del dibattimento, inteso come specifica esigenza informativa della collettività, impone infatti un’informazione che renda accessibili non solo le conclusioni, ma anche i ragionamenti e le motivazioni alla base delle diverse posizioni in gioco.
L’istanza, presentata congiuntamente dagli avvocati Alessio Tartaglini e Cosimo Palumbo, e supportata dall’adesione di tutti i colleghi difensori, pone un interrogativo fondamentale: quale sia il limite tra il diritto di cronaca e il rispetto dei principi fondamentali del processo equo e imparziale.
La decisione del tribunale sulla questione dei contenuti dei servizi giornalistici, pur comprensibile per evitare interferenze nel giudizio, non dissolve la necessità di una riflessione più ampia sul ruolo dei media e sulla responsabilità che ne deriva quando si tratta di rappresentare processi di tale rilevanza.
Il caso ‘Echidna’ si configura dunque come un banco di prova per l’applicazione dei principi costituzionali in un’era digitale caratterizzata da una crescente interconnessione tra giustizia e informazione.