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Nada Cella: Nuovi Svolte nel Processo, Testimonianze e Dubbi

Il processo per la tragica scomparsa di Nada Cella, la giovane segretaria trovata senza vita nello studio del commercialista Marco Soracco a Chiavari nel maggio 1996, ha recentemente ripreso con la deposizione dei testimoni della difesa, offrendo spunti inediti e sollevando interrogativi cruciali sulla ricostruzione dei fatti.

Anna Lucia Cecere, ex insegnante, è l’accusata principale, con l’ipotesi di un movente passionale avanzata dall’accusa.

Parallelamente, Marco Soracco è sotto accusa per favoreggiamento, contestato per un presunto reticismo nell’identificazione della presunta responsabile.

La fase difensiva ha visto la chiamata in aula di sei persone, le cui testimonianze mirano a mettere in discussione l’impianto accusatorio e a delineare una narrazione alternativa degli eventi.

Tra i primi a deporre, Andrea Grillo, uno dei primi soccorritori sul luogo del delitto, ha descritto una scena inizialmente priva di evidenti tracce ematiche all’ingresso e nelle stanze adiacenti.
La scoperta del corpo di Nada Cella, a terra con il volto rivolto verso l’alto e i piedi nascosti sotto la scrivania, ha scosso profondamente i soccorritori, uno dei quali, Grillo stesso, ha confessato di aver riconosciuto la giovane.

La quantità di sangue perso durante il trasporto in ambulanza è stata descritta come considerevole, evidenziando la gravità delle ferite.

La presenza di Marco Soracco sulla scena, descritto come apparentemente indifferente e privo di macchie di sangue, ha suscitato ulteriori interrogativi.

Un elemento peculiare introdotto dalla difesa è stato l’esame di due produttori di bottoni, i quali hanno chiarito che il bottone rinvenuto sotto il corpo della segretaria era di tipo a gambo chiuso, un modello destinato a essere cucito direttamente sul tessuto, escludendo così l’ipotesi di un inserimento in una ghiara, come precedentemente suggerito dal pubblico ministero Gabriella Dotto.
La scoperta di bottoni simili nella residenza di Anna Lucia Cecere, già oggetto di un’indagine archiviata dopo cinque giorni, solleva dubbi sulla corrispondenza con il bottone repertato, alimentando il sospetto di un errore di identificazione o di una manipolazione delle prove.
Franco Ramundo, investigatore presente sul posto all’epoca dei fatti, ha ripercorso le vicende, riportando una testimonianza significativa: la praticante dello studio aveva segnalato la scomparsa di una spillatrice dalla scrivania di Nada Cella.

Tuttavia, l’unità scientifica aveva utilizzato la spillatrice e l’aveva inserita tra le attrezzature a disposizione degli agenti, mettendo in discussione l’importanza di questa presunta mancanza.
La complessità del caso, arricchita da elementi apparentemente incongruenti e da ricostruzioni alternative, rende incerta la direzione che prenderà il processo.

Si prevede che a metà ottobre il pubblico ministero inizierà la requisitoria, culminando con la richiesta di condanna.

Il verdetto finale dipenderà dalla capacità di entrambe le parti di presentare prove convincenti e di smontare le argomentazioni avversarie, in un processo che continua a interrogare la verità sulla morte di Nada Cella e sulla responsabilità dei protagonisti.

La vicenda, intrisa di mistero e di elementi contrastanti, resta un monito sulla fragilità della vita e sulla necessità di una ricerca incessante della giustizia.

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