03 agosto 2024 – 05:45
Carlo, pseudonimo di un agente penitenziario che lavora nel padiglione B del carcere Lorusso Cutugno da quasi cinque anni, si trova a raccontare un’esperienza angosciante vissuta durante l’ennesima protesta scoppiata giovedì sera. In quei momenti di tensione estrema, mentre la rivolta si diffondeva tra i detenuti marocchini e senegalesi nel corridoio della seconda sezione detentiva, Carlo si è ritrovato solo e vulnerabile di fronte a minacce violente. Un coltello puntato alla gola, un’altra lama all’addome: venti secondi che sembravano infiniti, segnati dal terrore e dalla paura di morire.Le condizioni precarie in cui operano gli agenti penitenziari emergono con forza dalle parole di Carlo: abbandonati e costantemente sotto stress, costretti ad affrontare situazioni estreme senza alcuna protezione adeguata. La mancanza di risorse basilari come scarpe e carta igienica acquistate autonomamente, la struttura fatiscente del carcere e la sensazione di essere prigionieri dentro le mura stesse che dovrebbero garantire sicurezza.La testimonianza di Carlo getta una luce cruda sulla realtà quotidiana degli agenti penitenziari, esposti a rischi fisici e psicologici in un contesto difficile e spesso trascurato. La sua voce racconta non solo il dramma personale vissuto durante la protesta, ma anche il disagio costante e l’abbandono emotivo che caratterizzano la loro esperienza lavorativa. Una testimonianza toccante che mette in luce le sfide e le sofferenze nascoste di chi opera dietro le sbarre della giustizia.