La crisi che attanaglia lo stabilimento Stellantis di Atessa, con la perdita di 1600 posti di lavoro e un crollo della produzione di furgoni da 310.000 a un previsto 192.000 unità nel 2024, si configura come un sintomo acuto di una più ampia e profonda trasformazione che investe l’intero settore automotive italiano e globale.
Lungi dall’essere un mero dato statistico, questo declino riflette un complesso intreccio di fattori geopolitici, economici e industriali che richiedono un’analisi critica e soluzioni strutturali.
Il Val di Sangro, da sempre cuore pulsante dell’economia regionale, si trova di fronte a una sfida esistenziale.
Come sottolinea il sindaco di Atessa, Giulio Borrelli, la “tempesta dell’automotive” colpisce duramente, esacerbata da un Green Deal europeo percepito come distorto, dalla pressione competitiva di un mercato cinese aggressivo, particolarmente nel segmento dei veicoli elettrici, e dalle scelte strategiche spesso opache dei grandi gruppi industriali.
L’accelerazione verso l’elettrico, elemento centrale del dibattito, si presenta come una spada a doppio taglio.
L’incremento delle vendite di auto ibride, passato dal 30% al 45% in soli due anni, testimonia una crescente sensibilità ambientale da parte dei consumatori.
Tuttavia, come evidenzia Marco Matteucci, responsabile automotive Confindustria Medio Adriatico, una transizione forzata, priva di infrastrutture di ricarica adeguate e sostenibile, rischia di paralizzare l’intero sistema.
Non si tratta di tornare indietro, ma di gestire la riconversione industriale attraverso investimenti mirati e lo sviluppo di nuove competenze professionali, elementi imprescindibili per la competitività futura.
Le accuse mosse dai rappresentanti sindacali delineano un quadro preoccupante.
Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom, denuncia come la transizione, imposta dall’Europa, sia stata realizzata a scapito dei lavoratori, con Stellantis, ora ottavo produttore europeo, lontana dalla leadership che le apparteneva venti anni fa.
Rocco Palombella, segretario generale Uilm, descrive un vero e proprio “disastro” scatenato dalla transizione, alimentato dalla presenza sul mercato di auto elettriche cinesi a prezzi stracciati, in contrasto con il costo elevato di modelli italiani come la Fiat 500, e dalla scarsa efficacia degli incentivi governativi, insufficienti a compensare la mancanza di potere d’acquisto da parte delle famiglie.
Stefano Boschini, coordinatore nazionale Fim, contesta l’efficacia del “piano” Tavares, volto ad anticipare la transizione, sottolineando la conseguente fermata di gran parte degli stabilimenti, con l’eccezione di Pomigliano e Atessa.
L’esorbitante costo dell’energia ha contribuito a mettere in stand-by il progetto della gigafactory di Termoli, con la delocalizzazione della produzione di batterie in Spagna.
Questa decisione, e altre simili, alimentano un senso di abbandono e insicurezza nel tessuto industriale italiano, sollevando interrogativi sulla reale volontà di Stellantis di investire nel futuro del Paese.
La situazione attuale richiede un cambio di paradigma, un dialogo aperto e costruttivo tra istituzioni, sindacati, aziende e lavoratori.
Non si tratta solo di proteggere posti di lavoro, ma di ripensare il modello industriale, di promuovere l’innovazione tecnologica e di garantire una transizione energetica equa e sostenibile, che tenga conto delle esigenze di tutti gli attori coinvolti.
La sopravvivenza dello stabilimento di Atessa, e di tutta l’automotive italiana, dipende da una risposta coraggiosa e lungimirante.