Un’onda umana, stimata in trenta mila persone, ha travolto le vie di Torino, un fiume di persone provenienti da ogni angolo del Piemonte e oltre: Verbania, Forno Canavese, la Val Susa, Pinerolo, Ivrea, Cuneo, Orbassano, Alessandria, Biella, Collegno, Novara, Mondovì, Vercelli, Asti e altre località, a testimonianza di un sentimento di profonda indignazione e solidarietà.
La mobilitazione, promossa dal Coordinamento Torino per Gaza, rappresenta un segnale inequivocabile di distanza tra la cittadinanza e le scelte politiche che la riguardano.
Il dissenso si concentra in particolare sul recente voto del Consiglio Regionale, che ha deliberatamente ostacolato la discussione di una mozione volta a sospendere gli accordi economici, di ricerca e diplomatici con lo Stato di Israele.
Questa decisione, percepita come un tradimento della rappresentanza popolare, ha acuito il senso di frustrazione e alimentato la necessità di una risposta collettiva.
Il Coordinamento Torino per Gaza denuncia come il Piemonte e l’Italia, in maniera più ampia, siano complici del conflitto, attraverso meccanismi economici che sostengono l’industria bellica e attraverso dinamiche politiche corrotte da interessi di natura sionista.
La popolazione palestinese, si sottolinea, paga un prezzo altissimo in termini di vite umane, poiché si oppone a un progetto politico che mira a espandere il controllo territoriale e a privare i palestinesi della loro dignità e dei loro diritti.
L’appello è a una riflessione più profonda: non si tratta di un’azione di liberazione palestinese a beneficio dell’Occidente, ma è l’esempio di resistenza palestinese a liberare il senso di umanità e giustizia in noi.
La manifestazione, conclusasi con un collegamento simbolico con la Flotilla per Gaza, ribadisce l’importanza del supporto popolare, che costituisce il motore di questa iniziativa umanitaria.
Il coordinamento esorta alla massima adesione allo sciopero generale indetto per il 22 settembre, un atto di disobbedienza civile ritenuto imprescindibile per interrompere la filiera che alimenta il conflitto.
La retorica non basta: è necessario agire concretamente, poiché l’inerzia dei governi non è più accettabile.
La fine del genocidio, si afferma, passa attraverso un’azione collettiva radicale, che metta in discussione i presupposti stessi del potere economico e politico che ne garantiscono la prosecuzione.
Si invitano quindi tutti i presenti a diventare attori protagonisti di un cambiamento profondo e duraturo.