martedì 23 Settembre 2025
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Cavallini, ex NAR: trasferimento a Rebibbia, riapre la ferita Bologna.

Il trasferimento di Gilberto Cavallini, ex membro del gruppo neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR), dal carcere di Terni a quello di Rebibbia, a Roma, segna una tappa significativa in una vicenda giudiziaria complessa e dolorosa, intrisa di memoria collettiva e interrogativi sulla giustizia e la pena.
Cavallini, 73 anni, è condannato all’ergastolo per il ruolo cruciale avuto nella strage della stazione di Bologna, una delle pagine più oscure della storia italiana.

La decisione di revocargli la semilibertà, precedentemente concessa, non è una mera questione procedurale, ma il risultato di un approfondito esame da parte del magistrato di sorveglianza di Spoleto, sollecitato dalla Procura generale di Bologna.
Quest’ultima ha agito in seguito alla recente sentenza della Corte d’Assise d’Appello che ha modificato la pena accessoria dell’isolamento diurno, aggiungendo un anno a quelli già stabiliti, portando il totale a quattro anni ancora da scontare.
Questa revisione della pena accessoria evidenzia la sua natura non come un elemento secondario, ma come una componente integrante della sentenza, pensata per la rieducazione e la separazione del condannato dalla società.

La concessione della semilibertà, in precedenza, si era basata su una valutazione del percorso riabilitativo di Cavallini, ma la Corte d’Appello ha ritenuto che la permanenza di elementi di pericolosità sociale e la necessità di un regime detentivo più rigoroso giustificassero la sua revoca.
L’episodio riapre un dibattito amaro e costante nel nostro sistema giudiziario: il rapporto tra la riabilitazione del detenuto, il diritto alla speranza e la necessità di garantire la giustizia e il rispetto per le vittime e i loro familiari.
La strage di Bologna ha lasciato una ferita indelebile nella coscienza nazionale, e la vicenda di Cavallini incarna le difficoltà di conciliare la severità della pena con la possibilità di un reinserimento sociale, mantenendo sempre al centro la memoria delle vittime e l’imperativo di non dimenticare.

Il trasferimento a Rebibbia, struttura ad alta sicurezza, sottolinea la valutazione di un rischio che, pur dopo anni di detenzione, persiste e richiede un controllo più stretto.

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