La sentenza del giudice per le indagini preliminari (GUP) Francesco Vittorio Rinaldi, emessa a Bari, pone fine a un’inquietante vicenda criminale, condannando Francesco Colasuonno a trent’anni di reclusione in via abbreviata per l’omicidio di Edvin Sadiku, avvenuto il 3 febbraio 2017.
Il verdetto, giunto dopo otto anni di complessa indagine e istruttoria, rappresenta un atto di giustizia per la famiglia della vittima e per la collettività, ma lascia anche un’amara riflessione sulle dinamiche del crimine organizzato e sui suoi costi umani.
Colasuonno, 38enne originario di Bitonto, era accusato di omicidio volontario aggravato, di detenzione e porto abusivo di arma da fuoco e di aver favorito un’associazione di tipo mafioso.
Le aggravanti contestate delineano un quadro di premeditazione e di affiliazione a una struttura criminale radicata nel territorio.
La vittima, Edvin Sadiku, era considerata un elemento di spicco all’interno del clan Cipriano, una famiglia mafiosa con base operativa a Bitonto, e la sua eliminazione sarebbe stata decisa per sanare la paura di una possibile collaborazione con la giustizia.
La collaborazione con le autorità, spesso percepita come una minaccia dai clan, può portare a rappresaglie violente e a eliminazioni fisiche, come in questo tragico caso.
Le indagini, condotte e coordinate dalla DDA di Bari con il supporto dei carabinieri, hanno ricostruito una dinamica cruenta.
Secondo l’accusa, Colasuonno e Sadiku si erano resi responsabili di una rapina a mano armata, ma durante il viaggio verso Binetto, una località rurale nei pressi di Bitonto, l’indagato avrebbe deliberatamente aperto il fuoco contro il suo complice.
La brutalità dell’atto è testimoniata dai dettagli raccolti: Sadiku fu colpito da almeno dodici proiettili, con ferite localizzate al collo e alla testa.
La reiterazione dei colpi, anche quando la vittima era già a terra, suggerisce un’esecuzione premeditata e spietata, volta a eliminare ogni possibilità di sopravvivenza.
La vicenda solleva interrogativi complessi sull’efficacia delle strategie di contrasto alla criminalità organizzata.
La paura della collaborazione con la giustizia, un fattore spesso determinante nelle dinamiche interne ai clan, continua a rappresentare un ostacolo significativo per l’accesso alla verità e per la ricostruzione dei fatti.
La sentenza, sebbene rappresenti un importante risultato per la giustizia, non può cancellare il dolore della famiglia Sadiku e non può sanare le ferite lasciate da questa vicenda.
Il risarcimento economico, provvisoriamente stabilito in un importo di quasi 450.000 euro a favore delle parti civili costituite, inclusi i familiari della vittima e la Regione Puglia, si configura come un tentativo di alleviare, seppur parzialmente, il danno subito.
L’avvocato Libio Spadaro, difensore dei familiari della vittima, ha espresso sollievo per la conclusione del processo, sottolineando la necessità di non dimenticare questo tragico episodio e di continuare a lavorare per contrastare la criminalità organizzata.