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Fotografia e Palestina: McCurry, un appello alla responsabilità.

La fotografia, come strumento di narrazione e testimonianza, non agisce da sola per trasformare il panorama geopolitico complesso della Palestina, ma possiede una potenza innegabile nel sensibilizzare l’opinione pubblica globale.

Questa riflessione è stata ripresa dal rinomato fotografo Steve McCurry, a margine del conferimento della laurea magistrale ad honorem in Antropologia e Linguaggio dell’Immagine da parte dell’Università di Siena.

Le sue parole non si limitano a una mera constatazione, ma sottolineano la responsabilità cruciale che i media, e in particolare la fotografia, hanno nel modulare la percezione del mondo.

McCurry ha sottolineato come le immagini siano capaci di trascendere le barriere linguistiche e culturali, penetrando nella coscienza collettiva e generando un’empatia che può tradursi in azioni concrete.

Non si tratta di una semplice trasmissione di informazioni, ma di un processo di responsabilizzazione, che invita l’individuo, anche nel contesto del cosiddetto “primo mondo”, a interrogarsi sul proprio ruolo e sulle proprie capacità di contribuire a un cambiamento positivo.

L’arte del fotografo, secondo McCurry, si configura come un atto di advocacy, un modo per dare voce a coloro che sono stati messi a tacere, relegati ai margini della storia e spesso ignorati dalle agende globali.
La sofferenza e le difficoltà vissute dalle popolazioni palestinesi, in particolare, si traducono in un silenzio assordante, un’assenza di rappresentanza che la fotografia può, in parte, colmare.
Durante la cerimonia, il Rettore Roberto Di Pietra ha invitato la comunità accademica a una pausa di riflessione, un momento di raccoglimento e di consapevolezza riguardo agli eventi drammatici che si stanno verificando nella Striscia di Gaza, nei territori occupati e nelle acque internazionali.

L’invito non si è limitato alla mera commemorazione, ma ha esortato a una profonda analisi dell’impatto devastante di tali conflitti su milioni di persone, sollecitando una comprensione più complessa delle dinamiche in gioco.
Si tratta di riconoscere che la sofferenza umana trascende i confini politici e geografici, richiedendo un impegno globale per la promozione della giustizia, della pace e del rispetto dei diritti umani.
Il silenzio osservato nell’aula magna ha rappresentato un’espressione di solidarietà e un monito a non dimenticare le conseguenze umane di conflitti che si protraggono nel tempo.

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