venerdì 26 Settembre 2025
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Addio in Svizzera: Fabrizio sceglie la libertà dal dolore.

Il silenzio della Liguria, interrotto solo dal ticchettio del tablet, si è fatto eco alla stringata frase: “Sto andando verso una liberazione”.

Un messaggio inviato con il pollice, quasi un’impronta digitale sulla libertà imminente, mentre Fabrizio, per scelta anonima, intraprendeva un viaggio di oltre cinquecento chilometri, dalla costa ligure alla neutralità elvetica, con una sola, precisa intenzione: porre fine a una vita consumata da una malattia neurodegenerativa.

Fabrizio, settantanove anni, si è trovato a navigare in un mare di dolore e dipendenza.
La sua esistenza, un tempo autonoma e piena, si era progressivamente ristretta a un corpo prigioniero, legato all’ossigeno durante la notte e totalmente dipendente dall’assistenza altrui.

La sua richiesta di accesso al suicidio assistito, presentata al sistema sanitario ligure nel febbraio precedente, era rimasta sospesa, un’attesa straziante interrotta solo dal silenzio burocratico.

La decisione, sofferta e ponderata, lo ha portato a contattare l’associazione Luca Coscioni e a scegliere la Svizzera, un paese dove la dignità di scegliere la propria fine poteva essere riconosciuta.

A illuminare la vicenda, Marco Cappato, attivista e politico, insieme a Roberta Pelletta e Cinzia Fornero, volontarie di Soccorso Civile che hanno materialmente accompagnato Fabrizio in quel tragitto verso la libertà.
La loro azione non è stata una mera assistenza, ma un atto di disobbedienza civile, una denuncia vibrante di un sistema che, pur riconoscendo a parole la sofferenza, si è dimostrato incapace di offrire una risposta concreta.

“Avrebbe potuto morire con dignità tra le sue mura, invece è stato costretto a subire un calvario di oltre dieci ore,” ha denunciato Cappato.
“Ci assumiamo la responsabilità di averlo aiutato, perché non deve mai più accadere quello che è successo a Fabrizio.

” La vicenda mette in luce una profonda incongruenza: la recente sentenza della Corte Costituzionale ha delineato dei criteri specifici per l’accesso al suicidio assistito in Italia, ma la loro applicazione rimane nebulosa e arbitraria.

I requisiti, seppur rigorosi, prevedono la capacità di autodeterminazione del paziente, l’affetto di una patologia irreversibile che genera sofferenze intollerabili, e la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale.
Fabrizio rispondeva a tutti questi parametri, ma la sua richiesta è stata ignorata.

Cappato ha aggiunto che in Liguria sono sei le persone che hanno fatto richiesta di eutanasia, sottolineando che l’unico modo per evitare future tragedie è l’approvazione della proposta di legge regionale dell’associazione Coscioni.

Questa legge dovrebbe definire tempi e procedure certe, nel pieno rispetto della sentenza della Corte Costituzionale, e arginare l’arbitrio che ha condannato Fabrizio a un viaggio doloroso verso una libertà negata.

La sua storia non è solo un caso clinico, ma un grido di civiltà, un appello urgente alla responsabilità e alla compassione.

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