La decisione di Donato Macchia, presidente del Potenza Calcio, di ritirare la propria candidatura per un seggio nel Consiglio Federale della Figc, destinato a raccogliere l’eredità di Daniele Sebastiani (promosso in Serie B con il Pescara), solleva interrogativi profondi sul delicato equilibrio all’interno della Lega Pro e sulla tenuta delle istituzioni calcistiche.
Lungi dall’essere un semplice atto di rinuncia, il gesto di Macchia si configura come una denuncia circostanziata di dinamiche viziate e di un clima di ostilità che ne ha compromesso la possibilità di un’effettiva rappresentanza.
La motivazione originaria alla base della candidatura di Macchia era nobile e pressante: offrire un contributo concreto alla risoluzione delle pressanti problematiche che affliggono la Lega Pro, con particolare riferimento alla questione cruciale della sostenibilità economica.
La sua iniziativa era nata da un confronto con numerosi colleghi presidenti, figure spesso impegnate a investire risorse significative, anche a costo di sacrifici personali e aziendali, per il sostentamento delle rispettive società.
Queste figure, unite da una visione condivisa, aspiravano a un sistema più equilibrato e resiliente.
Tuttavia, l’entità dell’opposizione incontrata ha rivelato un quadro ben più complesso.
Secondo le dichiarazioni di Macchia, il presidente della Lega Pro, Matteo Marani, avrebbe esercitato un’azione ostile e immotivata nei suoi confronti, trascendendo il confronto dialettico e attingendo a ragioni personali, legate a una precedente posizione assunta da Macchia in un’assemblea democratica.
Macchia si riserva di esporre più nel dettaglio le circostanze di tale vicenda nell’assemblea elettiva del 2 ottobre.
Questo comportamento, a suo avviso, ha “inquinato” la campagna elettorale, costringendo i presidenti che avevano manifestato il loro sostegno a prendere posizione, creando una divisione che rischiava di compromettere l’unità della Lega Pro.
Macchia esprime la preoccupazione che una divisione interna indebolirebbe la categoria in un momento cruciale, in cui sono all’ordine del giorno riforme fondamentali, soprattutto per affrontare l’emergenza finanziaria che la affligge.
La rinuncia di Macchia non è dunque una resa, ma un segnale di allarme.
Evidenzia la necessità di una profonda riflessione sulla gestione delle istituzioni calcistiche, sulla trasparenza dei processi decisionali e sulla correttezza dei rapporti tra i suoi esponenti.
La speranza è che la pubblicazione delle ragioni di questa scelta obbligata non pregiudichi il percorso sportivo del Potenza Calcio, ma stimoli un dibattito costruttivo per il bene del calcio italiano, auspicando che il futuro sia caratterizzato da una maggiore coesione e dalla ricerca di soluzioni condivise per superare le sfide che si profilano all’orizzonte.