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Milano, 22 settembre: la voce della madre e il peso del destino.

La ferita aperta del 22 settembre a Milano, e la sua eco nel destino di due giovani diciassettenni oggi confinati agli arresti domiciliari, si manifesta con la voce spezzata di una madre.
Non è una giustificazione, ma una riflessione lucida e dolorosa, espressa durante una conferenza stampa al centro sociale Lambretta, un luogo che, a suo dire, nutre amore, non odio.
“Mia figlia non ha concepito un piano distruttivo”, ha affermato la donna, “ma l’indifferenza, l’acquiescenza, sono terreno fertile per tragedie ben più grandi.
Quando parliamo di genocidio, troppo spesso lo sguardo si posa su ciò che è visibile, superficiale, dimenticando la radice profonda del male.
“La ragazza, descritta come fragile e delicata, ha trovato in quella manifestazione la forza di esprimere un profondo senso di indignazione per la situazione a Gaza.

La madre ha insistito sulla necessità di non interpretare l’impegno dei giovani come un atto di violenza gratuita, bensì come una risposta corale alla sofferenza di un popolo.
“Non possiamo relegare i nostri figli in un silenzio colpevole”, ha esortato, “di fronte a un massacro di civili, di donne e bambini che si consuma davanti ai nostri occhi.
“La madre ha riconosciuto e ringraziato la comunità del centro sociale Lambretta per il sostegno morale fornito alla figlia, in particolare durante il periodo trascorso nel carcere minorile Beccaria.

Un sostegno cruciale, che ha alleviato la solitudine e l’angoscia di una giovane donna accusata di reati gravissimi.

Il messaggio che emerge dalla sua testimonianza è un invito all’azione, un appello alla responsabilità civile.

Non si tratta di approvare atti vandalici o di minimizzare la gravità delle azioni compiute, ma di comprendere le motivazioni che spingono i giovani a scendere in strada, a rischiare tutto per denunciare un’ingiustizia che percepiscono come inaccettabile.
La madre ha sottolineato come Milano, e con essa un’ampia fetta della popolazione, abbia espresso pubblicamente la propria solidarietà al popolo palestinese, rivendicandone il diritto all’esistenza e alla dignità.
Un diritto che, secondo lei, trascende le decisioni governative e si radica in un senso di umanità condivisa, un imperativo morale che impone di schierarsi dalla parte degli oppressi, di non rimanere indifferenti di fronte alla sofferenza altrui.

La sua voce, carica di dolore e di speranza, è un monito per una società chiamata a confrontarsi con la complessità di un mondo dilaniato da conflitti e ingiustizie, un mondo che necessita di giovani coraggiosi, capaci di alzare la voce e di lottare per un futuro più giusto e pacifico.

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