La vicenda che si giova di un’attenzione particolare nel contesto del carcere di Terni, si concentra sulla rivendicazione di un diritto fondamentale – la possibilità di svolgere colloqui intimi con la moglie – e si articola attorno a un complesso intreccio di questioni legate alla sicurezza, alla dignità del detenuto e all’interpretazione delle sentenze costituzionali.
La Direzione dell’istituto penitenziario aveva precedentemente negato questa possibilità, un diniego reiterato, l’ultimo a giugno, motivato da un profilo di rischio percepito come significativo.
Il detenuto, originario della Campania e ristretto nella sezione alta sicurezza 3, era stato trovato in possesso di un telefono cellulare nel corso del 2023, un evento che ha innescato un processo di valutazione più approfondito.
La situazione si complica ulteriormente quando si considera il legame familiare tra la moglie del detenuto e un individuo con evidenti connessioni a organizzazioni criminali, un elemento che la Direzione ha ritenuto potenzialmente compromettente per la sicurezza interna.
La preoccupazione principale risiedeva nella possibilità che incontri non supervisionati potessero fornire un canale di comunicazione illecita al di fuori delle mura carcerarie.
Tuttavia, il detenuto, supportato dal suo legale, l’avvocato Francesco Mattiangeli, ha presentato un reclamo all’Ufficio di Sorveglianza di Spoleto, il quale, con la sentenza del magistrato Fabio Gianfilippi, ha accolto la sua istanza, facendo leva sulla sentenza 10 del 2024 della Corte Costituzionale.
La decisione del magistrato non si è limitata a riconoscere il diritto al colloquio intimo, ma ha anche evidenziato come il detenuto avesse dimostrato una condotta positiva nei mesi successivi all’episodio del ritrovamento del telefono, culminata con il conseguimento del diploma di maturità.
Il ragionamento del magistrato di sorveglianza ha inteso superare la logica di un divieto generalizzato, sottolineando che anche i colloqui ordinari, attualmente supervisionati, potrebbero rappresentare un vettore di comunicazione non autorizzata.
L’ordinanza sottolinea che, in caso di comportamenti illeciti durante i colloqui intimi, sia il detenuto che il familiare sono soggetti a controlli e perquisizioni, nel rispetto dei limiti previsti dalla legge.
La decisione del magistrato non è percepita come una compromissione della sicurezza, ma come un bilanciamento tra la tutela della dignità del detenuto e l’esigenza di prevenire attività criminali.
Anzi, negare il diritto al colloquio intimo, a fronte di controlli adeguati, risulterebbe sproporzionato e potenzialmente lesivo di un diritto fondamentale.
Questo precedente si inserisce in un contesto più ampio, in cui altri detenuti nello stesso carcere di Terni sono già stati autorizzati a colloqui intimi, suggerendo una prassi che tende a riconoscere l’importanza di questi momenti per il benessere psicologico e relazionale dei detenuti, pur nel rispetto delle misure di sicurezza necessarie.
La vicenda solleva questioni complesse riguardanti il ruolo dell’istituzione penitenziaria, non solo come luogo di punizione, ma anche come ambiente che dovrebbe favorire il percorso di reinserimento sociale.