Un velo di profonda commozione ha avvolto Castelsardo, un borgo antico stretto tra la roccaforte aragonese e il mare, mentre una folla di circa mille persone, in gran parte impossibilitata ad accedere all’interno della cattedrale di Sant’Antonio Abate, si raccoglieva in silenzio per l’addio a Cinzia Pinna, la giovane donna strappata alla vita in un atto di violenza irreparabile.
La sua scomparsa, avvenuta l’undici settembre, ha lasciato una ferita aperta nel tessuto sociale della comunità, generando un dolore collettivo che si manifestava in quell’oceano di volti silenziosi e in un’aria densa di tristezza.
Il corteo funebre, scortato da un silenzio quasi palpabile, ha lasciato l’ospedale Santissima Annunziata di Sassari, raggiungendo la cattedrale percorrendo un tragitto simbolico attraverso le strade strette e tortuose del borgo.
Quelle vie, testimoni silenziose di secoli di storia e di vite intrecciate, sembravano contrarre ulteriormente a causa del peso del lutto.
Il feretro, portato a spalla, ha incrociato sguardi smarriti e mani tremanti, segnando un percorso di passaggio tra il mondo dei vivi e l’ignoto.
In prima fila, il nucleo familiare di Cinzia – il padre, la madre e la sorella – ha rappresentato il cuore spezzato di una famiglia intera, circondato dall’abbraccio commosso di un’intera comunità.
Un abbraccio che cercava di lenire il dolore, di offrire un conforto effimero di fronte all’irrimediabile.
L’imprenditore Emanuele Ragnedda, responsabile di quell’atto violento, si trovava recluso in carcere, escluso dalla possibilità di partecipare a quell’ultimo addio.
L’omelia, pronunciata dal parroco don Pietro Denicu, si è elevata al di là del semplice rito funebre, trasformandosi in un’invocazione alla giustizia e alla misericordia.
“Imploriamo giustizia per Cinzia,” ha esortato il sacerdote, “e preghiamo per il pentimento del suo carnefice.
” Parole che riflettevano il bisogno di verità, di comprensione, e la speranza, forse fragile, in una redenzione possibile.
Tuttavia, ha anche ammonito: “Si sono dette tante, troppe parole.
Questo è il momento di far tacere i nostri giudizi, le nostre accuse.
È l’ora della preghiera, dell’empatia, della compassione.
“Al termine della cerimonia, il corteo funebre ha lasciato la cattedrale, allungandosi lungo le vie del borgo in un lungo serpentone umano.
Il silenzio, interrotto solo dal fruscio dei passi e dai singhiozzi soffocati, ha accompagnato il feretro verso il luogo di riposo eterno, sigillando un addio definitivo, ma lasciando dietro di sé una comunità segnata da un dolore profondo e dalla ricerca di un futuro più giusto e più umano.
L’ombra di questa tragedia si proietterà a lungo sulla comunità, invitando a una riflessione più ampia sulla fragilità della vita, sulla violenza e sulla necessità di coltivare la cultura del rispetto e della tolleranza.