Il treno, bloccato nei pressi di Leopoli, si trasformò in una finestra angosciante sulla realtà quotidiana dell’Ucraina martoriata.
Tra i passeggeri, molti membri del Mean (Movimento Europeo di Azione Non Violenta), si trovava Gian Pietro Seghezzi, originario di Cremona, testimone oculare di un’esperienza che condensò in poche ore l’orrore vissuto da milioni di ucraini da oltre tre anni.
L’attesa, inizialmente percepita come una semplice, inspiegabile sosta, si materializzò in un crescendo di terrore.
Il brusio iniziale si trasformò in boati sordi, echi di esplosioni che squarciavano il silenzio, mentre bagliori sinistri illuminavano l’orizzonte lontano.
La comprensione, amara e improvvisa, si impadronì dei presenti: un massiccio bombardamento russo stava infiammando la regione.
La priorità immediata fu la preparazione all’evacuazione, una necessità amplificata dalla presenza di volontari di età più avanzata.
Sebbene le esplosioni non si siano manifestate con minaccia diretta sui vagoni, la tensione era palpabile.
Il confronto con la paura negli occhi dei passeggeri ucraini, co-abitanti di quella stessa sosta infernale, fu un’esperienza profondamente toccante.
La loro angoscia, radicata nella quotidianità del conflitto, superava di gran lunga la preoccupazione dei volontari europei.
Il ritorno a casa portò con sé non solo il ricordo vivido di quei momenti di terrore, ma anche una prospettiva più ampia e complessa della situazione.
Seghezzi racconta di un popolo ucraino animato da un’incrollabile fierezza e da una ferrea determinazione a difendere la propria libertà.
Un popolo resiliente, capace di resistere a un’aggressività brutale, legato alla terra e alla propria identità culturale.
L’esperienza ha rafforzato l’impegno del Mean, focalizzato non su azioni dimostrative, ma sulla costruzione di ponti, sul dialogo e sul supporto umanitario.
Un lavoro di prossimità, volto a creare reti di solidarietà, a promuovere la comprensione reciproca e a contribuire, nel piccolo, alla ricostruzione di un futuro di pace.
L’obiettivo non è sostituirsi agli sforzi diplomatici, ma fornire un sostegno concreto alla popolazione ucraina, testimoniando la vicinanza dell’Europa in un momento storico cruciale.
Il racconto di Seghezzi si configura, quindi, come un appello silenzioso alla coscienza collettiva, un invito a non dimenticare e a continuare a costruire un mondo più giusto e pacifico.