Un medico nefrologo del Veneziale di Isernia ha intrapreso un’azione legale contro l’Azienda Sanitaria Regionale del Molise (Asrem) per il mancato riconoscimento economico di ore di lavoro straordinario, sollevando una questione di principio cruciale per la tutela dei diritti dei professionisti sanitari e l’efficienza del sistema pubblico.
Il ricorso, presentato dall’avvocato Luca Damiano presso il Tribunale di Isernia, sezione lavoro, riguarda un ammontare di 195 ore e 12 minuti di prestazioni aggiuntive svolte tra giugno e dicembre 2024, per un valore complessivo di circa 15.600 euro.
La vicenda non si limita a una mera questione di liquidazione di un compenso.
Essa evidenzia una problematica più ampia relativa alla gestione delle risorse umane all’interno del Servizio Sanitario Regionale e alla corretta applicazione delle normative vigenti in materia di lavoro straordinario.
Il medico, figura imprescindibile per la continuità dell’assistenza ai pazienti affetti da insufficienza renale cronica, si è reso disponibile a coprire turni aggiuntivi, esecutivi e autorizzati dal responsabile di reparto, il Dott. Guglielmo Venditti, in un contesto di carenza organica che avrebbe altrimenti compromesso la qualità del servizio offerto.
La contestazione principale risiede nell’obiezione, sollevata dall’Asrem, di una presunta irregolarità formale, legata alla mancata apposizione del “visto di congruità” interno, adduzione ritenuta pretestuosa dal legale del medico.
L’avvocato Damiano argomenta che l’Asrem, pur riconoscendo la necessità e l’effettivo svolgimento delle prestazioni, si trincera dietro vizi procedurali interni per eludere l’obbligo di retribuzione.
Tale comportamento, a suo dire, contrasta con la normativa di riferimento, in particolare con la Legge di Bilancio 2024 e il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) della dirigenza medica, che esplicitamente riconoscono alle prestazioni aggiuntive natura autonoma e diritto a una specifica tariffa oraria, fissata in 80 euro lordi.
L’azione legale si basa, inoltre, su un solido ancoraggio alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha recentemente affermato l’intangibilità del diritto del lavoratore a percepire il compenso per le attività svolte su disposizione del datore di lavoro, a prescindere da eventuali ritardi o irregolarità interne agli uffici amministrativi.
La vicenda, dunque, non si pone solo come un caso isolato di mancato pagamento, ma come un campanello d’allarme riguardo la necessità di un ripensamento dei processi burocratici e di una maggiore tutela dei diritti dei professionisti sanitari, elementi essenziali per garantire la sostenibilità e l’efficacia del Servizio Sanitario Pubblico.
Il medico, con il ricorso, mira non solo al recupero del compenso spettante, ma anche al risarcimento delle spese legali sostenute e, soprattutto, a promuovere una cultura del rispetto delle normative e della valorizzazione del lavoro del personale medico.






