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Nuove Indagini sul Caso Borrelli: DNA sul Trapano Riapre il Caso

L’eco di un crimine irrisolto: nuove indagini sulla morte di Luigia BorrelliA distanza di trent’anni, il caso di Luigia Borrelli, l’infermiera e prostituta trovata brutalmente assassinata nel 1995 a Genova, riemerge al centro di un’indagine resa possibile dalle evoluzioni delle scienze forensi.

Il ritrovamento di tracce di DNA sul trapano utilizzato per il delitto, uno strumento che un tempo sembrava relegato a un ruolo marginale nell’inchiesta, ha riaperto un capitolo doloroso e complesso, sollevando interrogativi e nuove speranze per una verità a lungo soffocata.

Fortunato Verduci, il carrozziere sessantacinquenne indagato per l’omicidio, continua a godere della libertà, nonostante gli indizi a suo carico, giudicati insufficienti per disporre la custodia cautelare.

La recente perizia, depositata dall’esperta Selena Cisana su incarico del giudice nell’ambito di un incidente probatorio, ha rivelato che il materiale genetico rinvenuto sullo strumento non corrisponde al profilo di Verduci, scuotendo le certezze fino ad allora consolidate.
L’inchiesta originale, condotta negli anni ’90, si era concentrata sull’analisi del DNA estratto da una macchia di sangue rinvenuta sulla scena del crimine, identificando un profilo compatibile con quello di un parente di Verduci detenuto a Brescia.
Tuttavia, l’evoluzione delle tecniche di analisi, in particolare nel campo del DNA antico e degradato, ha reso possibile un esame più approfondito del materiale prelevato dal trapano, aprendo a nuove piste investigative.
La richiesta di un nuovo incidente probatorio, formulata dalla procuratrice Patrizia Petruzziello, mirava a sfruttare le metodologie più avanzate per individuare tracce biologiche precedentemente non rilevate, sia sullo strumento che sul filo elettrico associato.

Questo impegno ha portato all’affiancamento di figure di spicco nel campo della scienza forense: il generale Luciano Garofalo, ex comandante dei RIS di Parma, e il genetista Paolo Fattorini dell’Università di Trieste, a supporto dell’accusa, mentre gli avvocati difensori hanno potuto avvalersi della consulenza del dattiloscopista Nicola Caprioli.

La complessità del caso risiede non solo nella difficoltà di recuperare e analizzare tracce di DNA antico, ma anche nel superamento della prescrizione dei reati connessi.
Sebbene gli indizi a carico di Verduci siano considerati “granitici”, il tempo trascorso e la mancanza di prove decisive hanno impedito fino ad ora l’emissione di un ordine di arresto.

L’ipotesi accusatoria sostiene che Verduci, tormentato da debiti di gioco e con una predisposizione alla ludopatia, avrebbe ucciso Luigia Borrelli per rapinarla, dopo averla picchiata violentemente.
Il futuro prossimo dell’inchiesta potrebbe vedere la Procura Generale concludere le indagini, formulando un’imputazione formale nei confronti di Verduci e aprendo la strada a un processo.

La speranza è che le nuove prove, derivanti dall’analisi del DNA rinvenuto sul trapano, possano finalmente fare luce su un crimine che ha lasciato una cicatrice profonda nella comunità genovese e nella famiglia della vittima, offrendo una prospettiva di giustizia, seppur a distanza di decenni.

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