Convoglio bloccato, testimonianze dal fronte ucraino: paura e resilienza.

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Il convoglio, bloccato nei pressi di Leopoli, si trasformò in un teatro improvvisato di una realtà bellica che, per troppo tempo, era rimasta confinata nei telegiornali e negli articoli di cronaca.

Tra i passeggeri, molti volontari del Mean (Movimento Europeo di Azione Non Violenta), si trovarono catapultati in una situazione di angoscia e consapevolezza, testimoniando in prima persona la brutalità dei bombardamenti russi.

Tra loro, Gian Pietro Seghezzi, originario di Cremona, racconta un’esperienza che ha inciso profondamente nella sua percezione del conflitto ucraino.
L’incertezza iniziale, la pausa inspiegabile, si dissolsero rapidamente nel crescendo di rumori assordanti.

Non fu immediatamente chiaro il significato di quei boati, delle esplosioni che squarciavano il silenzio, dei bagliori sinistri che illuminavano l’orizzonte.
La progressiva comprensione, fredda e ineluttabile, fu accompagnata da un senso di precarietà.
La priorità divenne l’organizzazione di un’eventuale evacuazione, resa più urgente dall’età media elevata di alcuni membri del gruppo.

Nonostante la vicinanza del pericolo, le esplosioni non si manifestarono con la drammaticità di un impatto diretto sul convoglio.

Tuttavia, la paura e la sofferenza erano palpabili negli sguardi degli altri passeggeri, in particolare di molti ucraini, che condividevano lo stesso vagone.
La loro angoscia, più profonda e radicata, era il riflesso di un conflitto che dilaniava le loro vite da anni.
Il ritorno a casa ha lasciato in Seghezzi una visione amplificata della complessità del conflitto e, soprattutto, un profondo rispetto per la resilienza del popolo ucraino.
L’incontro con la loro ferma determinazione, con il coraggio di difendere la propria libertà, ha rafforzato la sua convinzione nella necessità di un approccio basato sulla solidarietà e sul dialogo.
L’azione del Mean, in questo contesto, si configura non solo come supporto umanitario, ma come tentativo di costruire ponti, di favorire la comprensione reciproca e di promuovere la pace attraverso il dialogo e la cooperazione, in un momento storico segnato dalla violenza e dalla divisione.

La testimonianza di Seghezzi è un appello alla responsabilità, un invito a non dimenticare la sofferenza altrui e a impegnarsi per un futuro di pace e sicurezza.