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Caso Stupro Palermo: Nuova svolta, in dubbio le condanne.

Un terremoto mediatico e giuridico scuote il caso dello stupro palermitano, vicenda che aveva già visto l’emissione di sentenze definitive a carico di sei imputati.

Una ragazza, figura centrale nella narrazione originaria, ha recentemente, in una conversazione con un autore di un podcast locale, espresso una versione radicalmente differente degli eventi, insinuando la possibilità di un rapporto consensuale.
Questa nuova affermazione, se confermata, apre scenari inediti e offre ai legali dei ragazzi coinvolti un solido argomento per richiedere la revisione del processo.
Fin dall’inizio, la difesa aveva contestato con forza l’accusa di violenza sessuale, sostenendo che la giovane, all’epoca diciannovenne, avesse partecipato volontariamente agli incontri con il gruppo.

Questa tesi era stata apparentemente smentita dalla presenza di un video, girato con un cellulare e presumibilmente realizzato dal più grande dei ragazzi, che mostrava la presunta vittima ripetutamente supplicare i suoi interlocutori di lasciarla andare.

Un elemento che aveva contribuito in modo determinante a consolidare la colpevolezza dei ragazzi.

La dinamica che portò alla denuncia era stata ricostruita attraverso il racconto della ragazza, che descriveva di essere stata drogata e successivamente seguita dal gruppo fino al cantiere abbandonato del Foro Italico, luogo dove, secondo la sua precedente deposizione, lo stupro sarebbe avvenuto.

Il racconto, inizialmente accolto come verità inconfutabile, è ora messo in discussione da questa inattesa retromarcia.

Le sentenze, già emesse in appello, avevano stabilito pene variabili.
Samuele La Grassa aveva ricevuto la conferma della condanna a quattro anni inflitta in primo grado.

Gli altri imputati, a eccezione di coloro che avevano scelto di non presentare appello, avevano beneficiato di una riduzione di un sesto della pena grazie alla riforma Cartabia.

Il minore coinvolto era stato condannato a otto anni e otto mesi, mentre Gabriele Di Trapani, Christian Maronia, Elio Arnao e Cristian Barone si erano visti infliggere pene comprese tra sei anni e quattro mesi e sette anni di reclusione.
La nuova testimonianza solleva interrogativi complessi sull’attendibilità delle deposizioni, sulla pressione psicologica che può aver influenzato la vittima, e sul ruolo dei media nel plasmare la percezione pubblica di un evento traumatico.

La revisione del processo, se concessa, potrebbe non solo liberare gli imputati condannati, ma anche riaprire un dibattito cruciale sulla giustizia, la verità e la fragilità dei ricordi, soprattutto quando sono legati a esperienze di profondo dolore e shock emotivo.
L’episodio pone l’accento sulla necessità di un approccio cauto e imparziale nella gestione di casi di questo genere, in cui la ricerca della verità deve prevalere su qualsiasi altra considerazione.

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