Un’assemblea regionale, focalizzata sulla drammatica emergenza umanitaria a Gaza, ha fornito un palcoscenico per un dibattito ampio e articolato, estendendosi oltre l’immediata denuncia del genocidio per abbracciare una riflessione strategica sulla decolonizzazione economica e sociale.
L’incontro pomeridiano, arricchito dalla partecipazione dell’attore Moni Ovadia e dell’attivista Silvia Severini, esponente della Global Sumud Flotilla, ha rappresentato un momento di convergenza tra impegno civile, impegno artistico e analisi critica delle dinamiche di potere globali.
La Fiom Cgil Marche, con sede temporanea nel teatro ridotto delle Muse di Ancona, ha posto al centro dell’agenda non solo la solidarietà verso il popolo palestinese, ma anche la ripresa della lotta sindacale a livello nazionale.
La manifestazione del 25 ottobre a Roma si prefigge l’obiettivo di sollecitare una radicale revisione della strategia industriale italiana, attualmente inadeguata a contrastare la crisi economica e a tutelare i diritti dei lavoratori.
L’analisi ha evidenziato una correlazione diretta tra l’aumento delle spese militari e la crescente precarietà del mondo del lavoro: l’economia di guerra, come ha sottolineato la segretaria regionale Sara Galassi, si traduce in un aumento delle ore di cassa integrazione e in un incremento dei licenziamenti.
La battaglia, quindi, si configura come un impegno a doppio fronte: difendere l’umanità e salvaguardare gli interessi dei lavoratori.
Il contesto politico regionale, segnato dalla riconferma del presidente di centrodestra Francesco Acquaroli, ha fornito un ulteriore spunto di riflessione.
Giuseppe Santarelli, segretario generale Cgil Marche, ha evidenziato come la vittoria della coalizione di centrodestra non possa cancellare i problemi strutturali che affliggono il territorio, problemi che l’agenda sindacale aveva cercato di portare all’attenzione di tutti.
La sfida, ora, è quella di mantenere alta l’attenzione su temi cruciali per il futuro della manifattura italiana, per garantire salari adeguati, dignità nel lavoro e contrastare la precarietà diffusa.
La vicenda della Beko di Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, ha incarnato in modo emblematico le difficoltà che i lavoratori marchigiani si trovano ad affrontare.
Gianni Lanciotti, Rsu Fiom Cgil della Beko, ha raccontato come la mobilitazione sindacale abbia permesso di evitare la chiusura della fabbrica, una realtà destinata, altrimenti, alla scomparsa.
Tuttavia, l’accordo firmato ad aprile prevede una riduzione dell’organico fino a 80 dipendenti, su un totale di 320.
La situazione è resa ancora più complessa dalla posizione geografica dell’azienda, situata in un’area interna, colpita dal sisma e penalizzata da carenze infrastrutturali.
In un contesto socio-economico fragile, un posto di lavoro assume un valore inestimabile, rappresentando un’ancora di speranza per l’intera comunità.
La difesa di quella fabbrica, quindi, si traduce in una battaglia per la tenuta del territorio e per la salvaguardia della dignità umana.