Il 18 gennaio 2017, una valanga inghiottì l’hotel Rigopiano, nel cuore dell’Abruzzo, spegnendo la vita di 29 persone.
A distanza di anni, la giustizia italiana riapre un capitolo cruciale di questa vicenda con l’inizio, domani, del processo d’appello bis presso la corte di Perugia.
La decisione di questo nuovo scrutinio giunge a seguito di una sentenza della Cassazione che ha in parte accolto le argomentazioni della Procura Generale, ribaltando parzialmente le conclusioni dei gradi precedenti.
Il fulcro della revisione si concentra sulla responsabilità di funzionari regionali, sei in totale, accusati di disastro colposo.
Parallelamente, altri quattro imputati, tra cui l’ex sindaco di Farindola, dovranno affrontare l’accusa di omicidio colposo, un reato ormai prossimo alla prescrizione.
L’elemento cardine introdotto dalla Cassazione non riguarda tanto la dinamica dell’evento in sé, ma un grave deficit nella pianificazione e nella prevenzione del rischio valanghe.
I giudici della Suprema Corte hanno evidenziato una lacuna legislativa non applicata: l’obbligo per i funzionari regionali di redigere la “Carta Localizzazione Pericolo Valanghe”.
Questo documento, che avrebbe dovuto mappare le aree a rischio e definire protocolli di sicurezza, non fu prodotto, con conseguenze tragiche.
Secondo la Cassazione, la sua esistenza avrebbe potuto portare alla chiusura dell’hotel durante i mesi invernali, evitando così la catastrofe.
L’assenza della carta avrebbe permesso una classificazione dell’albergo come struttura a rischio valanghe, imponendo restrizioni all’accesso o un uso regolamentato, limitato, ad esempio, alle stagioni meno critiche.
I giudici hanno espresso un giudizio netto: questa conclusione era non solo possibile, ma doverosa.
Il nuovo processo si preannuncia complesso, con un’attenzione particolare alle dinamiche burocratiche e alle responsabilità amministrative.
Carlo Giovani, Carlo Visca, Sabatino Belmaggio, Vincenzo Antenucci, Emidio Primavera e Pierluigi Caputi, i sei dirigenti regionali, dovranno rispondere dell’accusa di disastro colposo.
L’ex sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, e i tecnici Enrico Colangeli, Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio saranno giudicati per altri reati, anch’essi in via di prescrizione, riflettendo la complessità e la stratificazione delle responsabilità in questa vicenda.
Per quanto riguarda gli altri imputati, la Cassazione ha confermato le assoluzioni dell’ex prefetto Francesco Provolo e del dirigente Leonardo Bianco dall’accusa di depistaggio, pur confermando condanne per reati di omissione di atti d’ufficio e falso ideologico, anch’essi in fase di prescrizione.
Le condanne per l’ex gestore dell’hotel e il geometra che redasse la relazione allegata al permesso di ristrutturazione sono state confermate per falsità ideologica.
Il processo d’appello bis non è solo una ricerca di responsabilità penale, ma anche un atto di memoria e di giustizia nei confronti delle vittime e dei loro familiari, un’occasione per riflettere sui rischi ambientali e sull’importanza di una gestione preventiva e responsabile del territorio.
Il dibattito si preannuncia intenso, con implicazioni profonde sul futuro della prevenzione dei rischi naturali in Italia.