## La Fragilità della Bellezza: “La Lettre” tra Sogni Infranti e Resistenza Artistica”Facendo teatro si confondono i sentimenti veri e recitati.
” Questa frase di Paolo Petroni sembra condensare l’essenza dello spettacolo “La Lettre” di Milo Rau, un’opera che emerge dal Festival di Avignone per poi approdare al Teatro Vascello a Roma.
Più che una rappresentazione, “La Lettre” si configura come un’indagine sulla natura stessa dell’arte e sul suo rapporto con la realtà, un dialogo intimo tra aspirazioni personali e il peso del mondo.
Lo spettacolo, apparentemente semplice nella sua scenografia essenziale – un tavolo, tre sedie, tre bandiere e pochi oggetti simbolici – cela una stratificazione di significati profondi.
Rau, noto per il suo teatro impegnato e spesso incisivo, sorprende con un’opera che, pur mantenendo una sensibilità acuta sui temi contemporanei, si veste di toni leggeri, comici e malinconici.
La “lettera” del titolo è indirizzata al teatro italiano, un atto di coraggio e riflessione in un momento storico in cui la bellezza e la comunità appaiono fragili e precari.
Di fronte agli orrori che affliggono il pianeta, Rau si interroga sulla legittimità dell’arte, rifiutando il silenzio per paura di essere marginalizzati.
Questa scelta riecheggia un monito di Brecht: “Da ora in poi e per molto tempo non ci saranno più vincitori, ma solo vinti”.
La bellezza, l’espressione artistica, diventano forme di resistenza, strumenti per affermare la propria umanità.
L’opera si nutre di storie personali, di sogni frustrati che riecheggiano le aspirazioni di generazioni successive.
I due protagonisti, Olga Mouak e Arne De Tremerie, incarnano questa eredità, intrecciando le loro esperienze con quelle delle nonne: una, celebre voce radiofonica che sognava di interpretare Nina di “Il Gabbiano”; l’altra, una donna africana del Camerun, morta in un incendio, accomunata a Giovanna d’Arco attraverso la voce e le fiamme.
Il desiderio di interpretare questi personaggi iconici, pur con le barriere imposte da convenzioni sociali e culturali (la richiesta di una “bianca bionda e cattolica” per Giovanna d’Arco), diventa metafora della lotta per la rappresentazione, per la possibilità di dare voce a storie dimenticate.
La partecipazione di attrici francesi note, come Isabelle Huppert, attraverso amplificatori che diffondono le voci delle nonne e della madre, crea un effetto straniante, un dialogo tra passato e presente, tra realtà e finzione.
La colonna sonora, che spazia da Jacques Brel ad Arvo Pärt, contribuisce a creare un’atmosfera suggestiva, intrisa di malinconia e speranza.
Nonostante l’apparente disorganizzazione, lo spettacolo si regge sull’abilità interpretativa dei due attori, capaci di navigare tra registro comico e momenti di profonda intensità.
Rau smonta il “teatro borghese” con un’ironia tagliente, ma allo stesso tempo ne riconosce l’importanza come punto di riferimento.
La scelta di coinvolgere il pubblico, invitandolo a leggere brani recitati da personaggi immaginari, sottolinea la natura partecipativa dell’arte, il suo potere di creare comunità.
Le bandiere, esibite senza una precisa motivazione, simboleggiano la precarietà delle ideologie e la necessità di reinventare i valori.
“La Lettre” non è semplicemente uno spettacolo teatrale, ma un atto di coraggio, una riflessione sulla fragilità della bellezza e sulla necessità di resistere, di esprimere la propria voce, di creare comunità, anche – e soprattutto – di fronte all’abisso.
È un invito a non arrendersi, a non sentirsi mai vinti, a continuare a sognare, anche quando i sogni sembrano irraggiungibili.